Se la chat aziendale diventa lo strumento di Knowledge management

Il fatto ha inizialmente fatto sorridere: di recente quasi un terzo dei dipendenti dell’azienda statunitense di software BaseCamp ha deciso di licenziarsi a causa… di un elenco di nomi buffi. Non è notizia da tutti i giorni. Ma le vicende sono più complicate di quanto sembrino e si innervano in aspetti ben più complessi, che riguardano la privacy dei dati e la ‘divisione’ tra lavoro e vita privata, la cui linea di demarcazione si sta sempre di più assottigliando.

Per capire di cosa parliamo è bene riassumere a grandi linee i fatti: dopo aver scoperto che sulle chat aziendali circolava – da anni – un elenco di nomi di clienti particolarmente buffi (intitolato “Best names ever”) e dopo aver preso in considerazione le legittime lamentele di alcune persone interne all’azienda che non trovavano la cosa divertente, ma – al contrario – piuttosto irrispettosa, il CEO Jason Fried ha diffuso una nota nella quale chiariva le nuove linee guida dell’azienda. Così i dipendenti sono stati invitati a non parlare di politica, notizie sociali o fatti privati sulle chat di lavoro.

Fin qui, si penserà, quasi comune buon senso. Ma c’è di più. Dopo la nota aziendale – che addirittura offriva buonuscite a chi non fosse d’accordo con le nuove linee guida – numerosi dipendenti hanno deciso di licenziarsi, affermando di fatto la necessità di continuare a condividere pensieri e notizie che poco hanno a che fare con il lavoro sulle piattaforme aziendali. Trasformando, insomma, degli strumenti nati esclusivamente per l’attività lavorativa in quella che, in tempi di distanziamento sociale a causa della pandemia, si potrebbe definire come la versione digitale della macchinetta del caffè.

Questione di cultura e non di strumenti

L’episodio consente dunque di ragionare proprio sull’utilizzo degli strumenti di collaborazione, spostando il focus più sulla cultura legata alla condivisione delle informazioni che non sulla tecnologia. Anche perché, come nel caso di BaseCamp, il rischio è perdere know how e talenti. Sara Lodi, Head of Interacta Business Development & Strategic Marketing di Injenia, il cui prodotto di punta è esattamente una piattaforma per la gestione dei processi in versione social, spiega proprio che condividere la modalità di utilizzo degli strumenti, offrire modalità di comunicazione flessibili e andare incontro ai dipendenti è un primo passo per evitare queste situazioni.

In particolare, in un momento delicato come questo, nel quale la digitalizzazione sta vivendo un’accelerazione enorme, certi eventi devono essere evitati. Perché velocità può anche significare a volte errori e sbagli. “Pure in Italia sarebbe potuto accadere. Molte persone hanno iniziato a usare strumenti digitali di condivisione e collaborazione sul lavoro durante la pandemia. Questo ha portato ad alcuni imprevisti: pensiamo alle telecamere o ai microfoni lasciati accesi durante le videocall che hanno registrato scene o conversazioni talvolta imbarazzanti. Certamente la progressiva digitalizzazione dei processi può portare dentro le piattaforme anche alcuni aspetti più leggeri legati alla vita di team. Se prima c’erano la macchinetta del caffè e i pranzi, oggi si dialoga online. È importante quindi offrire i giusti strumenti, sempre affiancati da una nuova cultura organizzativa condivisa e adattiva”, è il ragionamento di Lodi.

Injenia, per esempio, ha ideato una piattaforma in grado di unire al gestionale le dinamiche social, andando incontro ai dipendenti e offrendo loro uno strumento che sappiano usare e che permetta loro di collaborare in modo semplice, rapido e intuitivo. Un esempio? Le squadre manutentive sulle linee di produzione di Barilla, per accelerare l’esecuzione delle attività scelsero lo scambio di informazioni attraverso strumenti di messaggistica non aziendali, sfruttando la loro comodità. Questo uso di chat non strutturate generava confusione nella distinzione delle richieste di intervento e comprometteva il controllo centrale dei processi e delle informazioni. Quando questa modalità di lavoro venne alla luce, l’azienda introdusse una piattaforma digitale ad hoc che consentisse alle persone di continuare a collaborare e a scambiarsi la conoscenza velocemente e secondo le loro abitudini, allontanando criticità legate alla sicurezza e alla perdita delle informazioni.

Diffondere gli strumenti per condividere la conoscenza

Utilizzare servizi di messaggistica social è quindi importante, soprattutto quando si integrano con i processi gestionali e organizzativi e, ancor di più, quando sono a distanza dalle soluzioni pensate per il B2C (WhatsApp ne è un esempio), e dunque quando avvengono in sicurezza, magari nel cloud e sotto la supervisione dell’azienda.

Se prima a utilizzare i software (facciamo rientrare anche i sistemi di messaggistica) erano solo impiegati e persone negli uffici, oggi anche le figure più operative e tecniche possono entrare nel flusso del discorso. “Con una piattaforma software che rende i processi social si mettono in contatto tutte le persone, anche quelle la cui conoscenza ed esperienza servono maggiormente, offrendo loro un modo di comunicare e di lavorare che sia congeniale”, dice Lodi. D’altra parte, oggi tutti usano i social, anche in famiglia o con il gruppo di calcetto, e la messaggistica istantanea è il modo più veloce per risolvere i problemi. “Queste piattaforme devono svolgere proprio questa funzione: permettere di lavorare in termini social, una modalità che ormai tutti conoscono benissimo. Naturalmente legando le dinamiche social ai processi aziendali, alla collaborazione e all’engagement”.

‘Socializzare’ i processi può quindi realmente diventare la nuova macchinetta del caffè, ma con qualche quid in più: rende il lavoro più semplice, intuitivo e naturale; permette di raccogliere meglio dati e informazioni; consente di conoscere davvero il contesto. “Quando l’approccio social alla gestione dei processi sarà realtà per molte aziende italiane, sarà importante lavorare sulla cultura e sulla leadership affinché si possa creare un digital workspace innovativo fatto di produttività, semplicità d’uso, condivisione della conoscenza e altissimo tasso di engagement, fattore sempre più importante per i giovani che si avvicinano al lavoro, ma non solo”.

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Sara Polotti

Sara Polotti è giornalista pubblicista dal 2016, ma scrive dal 2010, quando durante gli anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (facoltà di Lettere e Filosofia) recensiva mostre ed eventi artistici per piccole testate online. Negli anni si è dedicata alla critica teatrale e fotografica, arrivando poi a occuparsi di contenuti differenti per riviste online e cartacee. Legge moltissimo, ama le serie tivù ed è fervente sostenitrice dei diritti civili, dell’uguaglianza e della rappresentazione inclusiva, oltre che dell’ecosostenibilità.

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