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giovedì, 18 Settembre, 2025

Neuroscienze e coaching per potenziare le soft skill

Il coaching non è formazione: i percorsi formativi sono, tendenzialmente, calati dall’alto; nel coaching, invece, è l’individuo stesso (cliente) a definire obiettivi e modalità per raggiungerli. A spiegarlo è H2O, società di consulenza specializzata in progetti dedicati alle persone e alle organizzazioni. “Nessuno meglio della persona stessa conosce le sue risorse e i suoi desideri, […]
8 Gennaio 2024
Di: Alessia Stucchi
8 Gennaio 2024
neuroscienze coaching
Il coaching non è formazione: i percorsi formativi sono, tendenzialmente, calati dall’alto; nel coaching, invece, è l’individuo stesso (cliente) a definire obiettivi e modalità per raggiungerli. A spiegarlo è H2O, società di consulenza specializzata in progetti dedicati alle persone e alle organizzazioni. “Nessuno meglio della persona stessa conosce le sue risorse e i suoi desideri, quindi nessun altro può fissare gli obiettivi da raggiungere nel suo percorso”, spiega Silvia Lepore, Founder e Co-CEO di H2O. Il coaching si può quindi descrivere come un processo creativo che accompagna l’individuo nell’applicazione e nella scoperta di nuovi stimoli: “Attraverso il nostro accompagnamento la persona può conoscere se stessa da molteplici punti di vista. È un percorso che sprona la persona nella definizione della sua leadership, intesa come migliore versione di sé”. Secondo Lepore, a seguito della pandemia, è cresciuta la consapevolezza delle potenzialità del coaching e sono, così, aumentate le richieste di percorsi come il leadership coaching, che riguarda la maturazione delle competenze individuali. Le neuroscienze dimostrano che le relazioni sociali avvengono a livello più implicito che esplicito. “Se emulo un modello di leadership altrui trasmetto implicitamente un segnale di scarsa veridicità. Grazie al coaching, la persona costruisce la sua versione di leadership, che, in quanto autentica, è capace di sviluppare la fiducia negli altri”, commenta Lepore, rifacendosi proprio agli studi sul funzionamento del sistema nervoso.
Silvia Lepore
Silvia Lepore, Founder e Co-CEO di H2O

L’applicazione delle neuroscienze nel coaching

Le neuroscienze trovano numerose applicazioni all’interno del coaching: per esempio H2O propone l’utilizzo di un headband – una fascia, ricoperta di sensori, da posizionare sulla fronte – per sviluppare la capacità di concentrazione. La fascia rileva l’attività elettrica del cervello durante la meditazione e restituisce feedback uditivi: all’inizio il coachee sente una pioggia scrosciante, ma via via che aumenta la sua concentrazione l’intensità dell’acqua diminuisce. “Grazie a questo allenamento, il leader matura una sensibilità e un’attenzione alle emozioni dei collaboratori”, è il pensiero di Lepore. Per misurare l’attrattività della comunicazione a distanza, l’azienda inoltre utilizza una piattaforma che registra, attraverso la videocamera, il movimento degli occhi e il focus attentivo dello spettatore. Per valutare le relazioni interne a un team, H2O applica invece il protocollo dell’hyperscanning: due persone indossano ognuna un caschetto diverso collegato però a un unico macchinario che rileva l’attività dei sistemi nervosi durante l’interazione. “Lo strumento è utile per capire come le persone collaborano in un team, così da promuovere o disinnescare alcuni comportamenti”, spiega Lepore. Da un approccio più improntato sulle soft skill, grazie alle neuroscienze e al lavoro sulle energie, il coaching si è così avvicinato idealmente alla fisica quantistica: “Il coaching lavora a livello individuale sui talenti, cioè l’energia personale, e nei team sui campi energetici dominanti. Dal nostro punto di vista dobbiamo abbracciare diverse aree del sapere per arrivare a un’idea completa di benessere e performance”.
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