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mercoledì, 17 Settembre, 2025

Crisi bancarie: perché servono modelli manageriali virtuosi

Il default di Silicon Valley Bank (Svb) e di Signature Bank di New York (e di qualche altra banca medio-piccola americana) e il crack di Credit Suisse fanno sorgere il sospetto che siamo in presenza di squilibri sotterranei che si manifestano quando, dopo un lungo periodo di tassi bassi, le politiche monetarie diventano restrittive e […]
28 Marzo 2023
Di: Maurizio Baravelli
28 Marzo 2023
Foto_PdM
Il default di Silicon Valley Bank (Svb) e di Signature Bank di New York (e di qualche altra banca medio-piccola americana) e il crack di Credit Suisse fanno sorgere il sospetto che siamo in presenza di squilibri sotterranei che si manifestano quando, dopo un lungo periodo di tassi bassi, le politiche monetarie diventano restrittive e i tassi di interesse aumentano troppo rapidamente. Così è stato nella crisi del 2007-08: è fallita Lehman Brothers con una lunga serie di altri default bancari che hanno indotto le autorità di vigilanza americane ed europee a ‘ri-regolamentare’ il sistema bancario e finanziario in modo molto stringente per ridare stabilità ai mercati e contrastare possibili nuove crisi sistemiche. Purtroppo non tutte le banche hanno appreso la lezione. Quelle che di recente sono fallite hanno assunto rischi eccessivi o sono state male amministrate al punto di non essere resilienti all’aumento dei tassi. Non entriamo nel merito dell’efficacia della vigilanza, perché, in ogni caso, restano evidenti soprattutto le responsabilità e le carenze del management. E se si invoca la causa dei minori controlli sulle banche statunitensi medio-piccole fallite, che dire allora del collasso di Credit Suisse sottoposto dalle autorità svizzere ai maggiori controlli previsti dalla Banca centrale europea per le banche sistemiche europee? Pare comunque che Svb fosse stata avvisata più volte dalla Federal Reserve Usa della vulnerabilità del suo modello di business e del rischio di liquidità (risultato determinante nel default), ma il suo management ha tirato dritto, finendo per andare a sbattere.

L’etica manageriale come fattore decisivo

Credit Suisse, tra i maggiori colossi bancari globali, galleggia con difficoltà da quando è uscito malconcio dalla ‘grande crisi finanziaria’, continuando ad avere perdite dovute soprattutto ad attività speculative; non sono bastati gli aumenti di capitale e le ristrutturazioni a risanarlo e ora il suo salvataggio è legato alla fusione con Ubs, l’altro grande gruppo bancario svizzero che, in passato, ha pure rischiato di fallire riuscendo però a risollevarsi. La concentrazione evita il fallimento di Credit Suisse e i conseguenti possibili effetti sistemici, ma la nascita di un colosso bancario di ulteriori dimensioni rafforza il principio too big to fail che certamente non stimola gestioni più sicure ed efficienti. Qualità, competenze, integrità ed etica manageriale sono fattori determinanti nell’assicurare gestioni sane, prudenti e virtuose; come incentivarli è questione complessa. La vigilanza e le leggi possono contribuire sanzionando i manager bancari in modo più severo, quando essi violano le norme e le loro condotte causano fallimenti; ma anche la tutela dei responsabili dei controlli interni, quando denunciano irregolarità. Con una vigilanza strutturale che limiti il gigantismo finanziario e imponga la separazione delle attività speculative dal finanziamento dell’economia reale, il rischio di crisi sistemiche può essere contenuto,  ma resta comunque una garanzia la sana e prudente gestione delle singole banche.
L’articolo integrale è pubblicato sul numero di aprile 2023 di Sistemi&Impresa. Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)
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