Chi guida davvero l’economia globale?
Negli ultimi due decenni abbiamo assistito a un lento ma progressivo spostamento dell’epicentro economico globale. Se nel 2004 le economie del G7 detenevano oltre il 60% del Pil mondiale, oggi quella quota è scesa al 45%, e si prevede che entro il 2030 scivolerà sotto il 35%. Contestualmente, l’Asia-Pacifico, i Paesi Brics+ (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran e Indonesia) e il Medio Oriente hanno registrato una crescita strutturale, alimentata da investimenti massicci in infrastrutture, Manifattura ad alto valore aggiunto, digitalizzazione e transizione energetica.
Il mondo sta attraversando una trasformazione profonda e irreversibile degli equilibri economici globali. Le tradizionali potenze occidentali – Stati Uniti, Unione europea, Regno Unito (e parzialmente anche il Giappone) – faticano a mantenere la leadership economica, tecnologica e geopolitica di fronte all’ascesa accelerata delle economie emergenti. Il baricentro della crescita globale si è spostato a Oriente: la regione Asia-Pacifico genera oggi circa il 40% del Pil mondiale, attrae oltre il 45% degli investimenti in infrastrutture e concentra la quota maggioritaria della produzione manifatturiera e dell’export tecnologico.
In questo scenario, la crescita economica non è più distribuita in modo omogeneo, ma mostra asimmetrie sistemiche. Le economie orientali investono in infrastrutture, innovazione e capitale umano, mentre in molte economie occidentali prevalgono l’immobilismo, l’incertezza politica e la dipendenza da meccanismi redistributivi interni. A questo, si aggiungono due ulteriori elementi strutturali: la crisi della globalizzazione ‘classica’ basata sulla World trade organization (Wto) e sulle Supply chain globali, e l’emergere di piattaforme alternative come i Brics+, che promuovono un ordine multipolare, più orientato alla cooperazione Sud-Sud.
G7, Europa e Nato discutono, Asia, Medio-Oriente e Brics+ costruiscono
Negli stessi giorni in cui le leadership politiche del G7 si riunivano in Canada e l’Alleanza Atlantica si ritrovava all’Aia, l’Asia e i Paesi Brics+ proseguivano con decisione nella costruzione di nuove architetture economiche, infrastrutturali e diplomatiche. Il contrasto non potrebbe essere più netto: da un lato, forum occidentali sempre più autoreferenziali, impegnati a contenere crisi e gestire equilibri interni; dall’altro, blocchi emergenti che attraggono capitali, pianificano investimenti strategici e promuovono piattaforme operative concrete. Questo fenomeno e chiaramente visibile se guardiamo all’evoluzione delle principali economie mondiali negli ultimi 20 anni.
La Cina – che già nel 2024 rappresentava oltre il 18% del Pil mondiale nominale – non solo mantiene il ruolo di locomotiva manifatturiera, ma rafforza la propria influenza globale con progetti come la Belt and road initiative e “Made in China 2025”. L’India – che cresce il proprio Pil nominale di ben sette posizioni – con programmi come Digital India e Startup India, potenzia la crescita demografica e digitale, catalizzando investimenti e innovazione.
Se guardiamo al Pil mondiale non nominale ma come Parità di potere d’acquisto (Ppp) adjusted al costo della vita, la Cina con 37 trilioni di dollari statunitensi (USD) è già da anni la prima economia del Pianeta, mentre l’India, con 16 trilioni, è solidamente al terzo posto e chiude considerevolmente la distanza dagli Stati Uniti, con 29 .
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