Competenze digitali, il solito buco nero dell’Italia
L’Italia continua a inseguire la domanda di competenze ICT, senza però riuscire a colmare il divario che separa il Paese dagli standard europei. La distanza fra fabbisogno delle imprese e nuovi professionisti disponibili appare anzi in crescita, mentre il mercato del lavoro digitale evolve rapidamente, spinto dall’adozione massiccia dell’Intelligenza Artificiale (AI), in particolare della sua versione generativa. È quanto emerge dall’Osservatorio sulle Competenze Digitali 2025, presentato il 18 novembre 2025 a Milano da Aica, Anitec-Assinform e Assintel con Talents Venture.
Secondo lo studio, solo nell’ultimo anno su LinkedIn sono stati pubblicati 136mila annunci ICT, a fronte di 73mila nuovi professionisti che entrano sul mercato. Si tratta di una sproporzione che fotografa un Paese in cui la formazione cresce, ma non abbastanza per sostenere l’accelerazione tecnologica.
Il dato più allarmante arriva dal confronto con l’Europa. Nel nostro Paese, gli occupati ICT rappresentano appena il 4% del totale, contro una media europea del 5%. Una differenza che vale 236mila professionisti: tanto servirebbe all’Italia per allinearsi ai principali partner comunitari. Una carenza che affonda le radici nella debolezza storica dell’orientamento scolastico.
“Se non guidiamo i giovani verso le professioni digitali fin dalla scuola primaria, continueremo a inseguire un fabbisogno che cresce più rapidamente della nostra capacità di formare risorse”, ha avvertito Paola Generali, Presidente di Assintel. “Il digitale deve essere introdotto presto, con esempi concreti e con una rete nazionale di centri di orientamento che accompagni studenti e lavoratori nelle scelte formative e professionali”.
Spazio solo alla formazione dei più giovani? No di certo, mette in guardia Generali, sottolineando come la formazione vada fatta anche ai genitori: “Oggi è ancora troppo scontato interrogare un bambino, figlio di ingegneri, e sentirgli dire che vorrà iscriversi a Ingegneria. Auspico che anche il figlio del panettiere dica che vorrà iscriversi alla stessa facoltà”.
Prompt Engineering: la competenza della nuova era digitale
Venendo alla ricerca, il dato più sorprendente del rapporto riguarda il Prompt Engineering, che registra una crescita del 112% negli annunci ICT. Una percentuale che certifica l’ingresso dell’AI Generativa nella quotidianità delle imprese: dall’automazione dei processi alla progettazione di soluzioni creative, passando per assistenza, data analysis e sviluppo software.
“Le aziende non trattano più l’AI come un prototipo, ma come un’infrastruttura operativa”, ha spiegato Ludovica Busnach, Vicepresidente Anitec-Assinform con delega alle Digital Skills. “Il boom del Prompt Engineering mostra chiaramente che servono figure capaci di dialogare con i modelli generativi e tradurli in valore concreto per il business”.
Il Prompt Engineer diventa così uno dei profili più richiesti, spesso ricercato insieme con competenze di sviluppo, Data management e AI governance. E la crescita è destinata a proseguire, poiché il report sulle competenze segna un incremento trasversale dell’intero comparto AI, anche nelle funzioni manageriali e di progetto.
Questi sono i punti fermi che hanno sottolineato anche Pier Giorgio Bianchi, Amministratore Delegato e Co-fondatore e Carlo Valdes, Head of Data Analytics, Technology and Insights di Talents Venture i quali hanno evidenziato come l’ascesa del Prompt Engineering rispetto alla caduta delle competenze su ChatGpt da parte delle aziende sia, per loro, una fase di maggior presa di consapevolezza. È per questo che oggi le aziende si sono riviste e hanno capito l’importanza dell’integrazione, al loro interno, di strumenti di AI Generativa.
La cybersecurity e lo sviluppo restano pilastri
Accanto alle nuove professioni legate all’AI, la domanda resta altissima per i ruoli più consolidati, per i quali gli annunci crescono del 70% nel periodo analizzato: sviluppatori software, IT project manager, software engineer e soprattutto cybersecurity engineer.
L’Italia, tuttavia, continua a mostrare una fragilità strutturale nelle competenze digitali essenziali. L’indagine Aica inclusa nell’Osservatorio e condotta su 24mila persone, rileva che solo il 30% degli intervistati raggiunge la sufficienza nell’uso del computer e appena il 17% nelle applicazioni Office.
“Oltre l’85% delle persone coinvolte nella ricerca non ha competenze adeguate negli strumenti digitali di base”, ha osservato Antonio Piva, Presidente di Aica. “La distanza tra ciò che serve alle imprese e ciò che possiede gran parte della popolazione attiva resta ampia, e in alcuni casi addirittura aumenta”. Piva ha sottolineato la necessità di diffondere standard riconosciuti come International certification of digital literacy (Icdl), certificazione internazionale che attesta le competenze digitali di base e avanzate, e di promuovere percorsi formativi accessibili e continuativi.
Il rapporto ha messo in luce anche un problema di attrattività del mercato italiano. L’analisi di 10mila annunci ICT pubblicati nel 2025 rivela che il 74% non riporta la retribuzione, mentre il 55% non menziona alcun benefit. Solo una minoranza ha segnalato flessibilità o possibilità di lavoro da remoto. Una carenza comunicativa che penalizza la competitività delle imprese italiane, soprattutto in un contesto globale in cui i professionisti ICT possono scegliere tra molte opportunità, spesso più trasparenti e meglio retribuite.
Università telematiche: forza silenziosa dei laureati ICT
Sebbene il sistema formativo italiano sta ampliando l’offerta ICT, ma la crescita resta lenta rispetto alle esigenze del mercato. Negli ultimi 10 anni i corsi di laurea dedicati all’informatica sono passati da 670 a 850, ma ciò che sorprende è il contributo crescente delle università telematiche Secondo l’Osservatorio, il 9% di tutti i laureati ICT italiani proviene oggi dagli atenei online. Una quota in aumento, che evidenzia il ruolo sempre più rilevante di un modello capace di intercettare nuove fasce di popolazione: studenti lavoratori, residenti in territori periferici, giovani che necessitano di maggiore flessibilità organizzativa.
Bianchi e Valdes hanno sottolineato come questa trasformazione rappresenti una chance per ridurre la carenza cronica di talenti tech: “Il digitale deve diventare accessibile, continuo e modulare. Gli atenei telematici stanno offrendo una risposta concreta a una domanda formativa che non troverebbe sbocco nei percorsi tradizionali”. Anche gli ITS Academy mostrano una crescita importante (+40% dei percorsi nell’area ICT), ma il numero dei diplomati resta troppo basso per incidere in modo significativo. Insomma, di strada ce n’è ancora da fare.
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