Gli effetti della Brexit sull’ecommerce
Mancano pochi giorni al punto di approdo di lunghe ed estenuanti trattative che hanno tenuto con il fiato sospeso cittadini e imprese per oltre quattro anni. Il 31 dicembre 2020 il Regno Unito cessa di far parte dell’Unione europea, ponendo fine al travagliato processo di separazione noto con il nome di “Brexit”. L’uscita della Gran […]

Mancano pochi giorni al punto di approdo di lunghe ed estenuanti trattative che hanno tenuto con il fiato sospeso cittadini e imprese per oltre quattro anni. Il 31 dicembre 2020 il Regno Unito cessa di far parte dell’Unione europea, ponendo fine al travagliato processo di separazione noto con il nome di “Brexit”.
L’uscita della Gran Bretagna dalla compagine dei 28 (ora 27) non comporta una cessazione totale delle relazioni, ma ha conseguenze significative sui rapporti economici tra i diversi Paesi, soprattutto in assenza di un accordo commerciale che regolarizzi le transazioni. Il tanto temuto no deal ha senza dubbio effetti sulle vendite online, con la reintroduzione di Iva e dazi doganali.
A partire dal 1 gennaio 2021, infatti, il Regno Unito introduce una riforma dell’Imposta sul valore aggiunto per le vendite a distanza. Ciò significa che i colli di valore superiore alle 135 sterline – pari a circa 150 euro – devono sottostare al pagamento dell’Iva. Fino a oggi le cessioni e gli acquisti di beni tra il Regno Unito e gli altri Paesi dell’Ue rientravano a pieno diritto tra le operazioni intracomunitarie, con l’obbligo dunque di versare l’Iva sui beni inviati e ricevuti.
Ora la Brexit impone che gli acquisti da e per il Regno Unito debbano essere trattati come esportazioni e importazioni: tutte le transazioni saranno quindi soggette a Iva e dazi doganali al momento dell’entrata e dell’uscita dei beni dal Paese. Ai dazi sfuggiranno solo i beni di valore inferiore alle 135 sterline.
Si impone, inoltre una nuova responsabilità Iva sui marketplace. Amazon, eBay, Alibaba e altre realtà simili saranno responsabili della riscossione e del versamento dell’Iva sulle vendite ai consumatori realizzate da imprese europee non stabilite in Regno Unito, ma con un loro stock nel Paese.
Ciò non esenta, però, le imprese italiane – non stabilite nel Regno Uniti, ma con stock in quel Paese – dalla necessità di dotarsi di partita Iva, necessaria sia per indicare il valore delle vendite tramite marketplace sia per dichiarare e versare l’Iva sulle vendite B2B.
Fonte: Fashion Magazine
Categoria: Risorse Umane, Dall’estero

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