Quiet quitting o incapacità di ingaggiare le persone?
Dopo tre anni di lavoro da remoto alimentato dalla pandemia, un numero record di dimissioni, l’aumento del burnout e ora licenziamenti di massa, alcuni neologismi si stanno facendo strada nel mondo del lavoro. Tra questi c’è Quiet quitting, traducibile come “l’abbandono silenzioso” è il fenomeno secondo cui i dipendenti sono disposti a svolgere solo lo […]

Dopo tre anni di lavoro da remoto alimentato dalla pandemia, un numero record di dimissioni, l’aumento del burnout e ora licenziamenti di massa, alcuni neologismi si stanno facendo strada nel mondo del lavoro. Tra questi c’è Quiet quitting, traducibile come “l’abbandono silenzioso” è il fenomeno secondo cui i dipendenti sono disposti a svolgere solo lo stretto indispensabile compatibilmente con le ore definite da contratto, rifiutando di fare straordinari, aderire a progetti extra e assumersi ulteriori responsabilità. C’é anche Rage applying, ovvero mandare candidature a raffica e applicare per più posti di lavoro contemporaneamente in risposta all’insoddisfazione per il posto di lavoro attuale.
In realtà, come sottolinea la giornalista Jena McGregor in un articolo di Forbes, qualsiasi HR Manager sorride sentendo questi nuovi inglesismi. Infatti le persone hanno sempre fatto domanda per nuovi lavori – sì, inviando molte candidature contemporaneamente – e le Quiet hiring, ovvero le “assunzioni silenziose” – quel fenomeno che si verifica quando un’organizzazione acquisisce nuove competenze senza assumere effettivamente nuovi dipendenti – è semplicemente un sinonimo per indicare la mobilità interna, che c’è sempre stata e può essere un modo per riassegnare persone sottoutilizzate a nuovi ruoli per evitare che vengano licenziate, oppure uno stimolo per le persone a reinventarsi nella stessa azienda optando per mansioni più in linea con le proprie ambizioni.
Il fallimento dell’Emplyee engagement non è una novità
Al di là della terminologia, in ogni caso, oggi l’engagement dei lavoratori è inferiore rispetto al passato. Lo confermano i dati diffusi da Gallup, società americana di consulenza che svolge analisi e sondaggi di opinione pubblica. Nel 2021 il coinvolgimento dei dipendenti negli Stati Uniti ha registrato il primo calo in dieci anni: la percentuale dei dipendenti “coinvolti” (che si definiscono cioè ingaggiati ed entusiasti del proprio lavoro) è passata dal 36 al 34%. Il trend discendente è continuato nel 2022, anno in cui si è arrivati al 32%. Il calo maggiore si è registrato tra i più giovani, le donne e le persone i cui lavori potevano essere svolti da remoto ma l’azienda ha chiesto loro la presenza quotidiana. Anche se i numeri sono peggiorati, la percentuale del 32% è superiore a quella che si registrava tra il 2000 e il 2013, quando in alcuni anni i dati arrivavano addirittura vicino al 20%. “Le persone hanno mostrato disaffezione verso il lavoro e si sono esaurite in varie fasi della loro carriera, da sempre” ha commentato Amy Zimmerman, HR Manager di Relay Payments, società specializzata in tecnologia per pagamenti digitali. La domanda da porsi ora, ovviamente, riguarda il futuro. Se il coinvolgimento delle persone continuerà a calare e i dati continueranno a scendere arrivando a essere peggiori di quelli registrati negli ultimi 20 anni, allora qualcosa effettivamente sarà cambiato rispetto al passato (e meriterà di essere definito con un nuovo termine). Se invece la situazione rimarrà costante, vorrà dire forse che la minaccia di una recessione e l’incertezza economica stanno facendo sì che le persone facciano il minimo indispensabile pur di rimanere occupate e non perdere il lavoro. Nel frattempo, si può provare a evitare di usare termini a sproposito. Sì, le aziende stanno sopperendo alla mancanza di personale con lavoratori temporanei o stanno riassegnando le persone internamente a ruoli diversi, mettendole dove ne hanno più bisogno. Le persone stanno lottando con il burnout e i lavoratori stufi sono – e lo saranno sempre – alla ricerca di nuove opportunità, tanto che dietro alle loro dimissioni spesso c’è un cambio di lavoro. Non c’è bisogno di un inglesismo accattivante per parlarne.Categoria: Risorse Umane, Dall’estero

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