Creare valore con la sostenibilità del service nel settore automotive

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Oltre a sottoscrivere la “dichiarazione d’impegno” con i propri clienti, con l’ambiente e la società in cui agiscono, gli operatori del settore si sono dovuti interrogare su come intervenire realmente per attuare la strategia dichiarata e trasformare i vincoli in un’opportunità di business. In particolare la pressione esterna abbinata alle opportunità che possono scaturire dallo sviluppo di prodotti e processi rispettosi dell’ambiente porta le case auto a lavorare instancabilmente non solo per progettare veicoli sempre più confortevoli, sicuri, silenziosi, leggeri, ma soprattutto efficienti e poco inquinanti. In particolare il futuro prossimo pare destinato all’abbandono del motore a scoppio tradizionale a vantaggio della trazione ibrida ed elettrica, mentre la ricerca si muove anche oltre, verso la progettazione e produzione di prodotti facilmente gestibili a fine vita, in ottica di recupero e riciclaggio delle parti, dei componenti e in generale delle materie prime. Accanto all’introduzione di tecniche di design di prodotto in grado di facilitare e rendere più efficienti i processi di assemblaggio, di recupero e di smaltimento, nuove soluzioni organizzative, logistiche e di comunicazione volte a favorire il recupero dei materiali in maniera efficiente, vengono implementate dalle diverse case per facilitare i processi di gestione a fine vita del prodotto, anche in ottemperanza agli obblighi di legge. Notevole impegno viene altresì dedicato all’ambito produttivo, verso la ricerca di soluzioni tecniche ed organizzative sempre più innovative per incrementare l’efficienza energetica e ridurre così l’impatto ambientale. Ma la tendenza alla sostenibilità ambientale non deriva solo dall’innovazione del prodotto e dei processi produttivi e logistici ad esso collegati. È l’evoluzione dell’intero modo di fare business che implica un passaggio inevitabile verso una visione più sostenibile. La nascita e l’esplosione ad esempio di molte soluzioni di offerta fondate sul principio del soddisfacimento del bisogno di mobilità, e non più sul possesso del veicolo (che derivano dall’affermarsi di strategie fondate sul ruolo chiave del servizio), rappresentano un’ulteriore declinazione della sostenibilità ambientale all’interno del settore. Proposte come il noleggio a lungo termine, il car sharing o il car pooling, oltre a creare opportunità di business, favoriscono il maggior controllo dell’affidabilità dei mezzi, ne facilitano l’accessibilità, ne consentono un maggiore sfruttamento incoraggiando quindi una riduzione del parco circolante e generando contemporaneamente benefici sulla sicurezza, sull’ambiente e sulla qualità della vita. Talvolta, inoltre, queste nuove forme di offerta vengono abbinate a prodotti verdi. Con e-mobility Italy, ad esempio, Smart del Gruppo Daimler ed Enel hanno creato un progetto congiunto per la mobilità elettrica che rende possibile la diffusione e l’utilizzo efficiente di veicoli elettrici, con tecnologie di ricarica rapide e all’avanguardia, in grado di offrire servizi intelligenti e sicuri. Da una parte il gruppo tedesco fornisce il mezzo di trasporto ai clienti con una formula a noleggio, mentre la società italiana si rende responsabile, oltre al sistema di controllo centrale, dello sviluppo, della creazione e della gestione dell’infrastruttura, che erogherà solo energia certificata proveniente da fonti rinnovabili. Con riguardo all’ambito del post-vendita, pochissimi sono gli esempi importanti promossi da grandi player del settore. Toyota Motor Italia, in collaborazione con Lifegate, propone dal 2008 l’Eco-tagliando, per il quale ha ricevuto il Trofeo dell’Eccellenza di Autopromotec/GIPA come “2008 Most Ecofriendly Company in After-Sales activities”. Si tratta di un servizio di manutenzione dell’auto volto al suo utilizzo nel pieno rispetto dell’ambiente. Grazie a tecnologie e ricambi più evoluti, vengono ridotti consumi e costi di percorrenza, aumentando le prestazioni e la durata dei componenti meccanici, compensando allo stesso tempo le emissioni di CO2 prodotte in 4.000 km. Ad esempio, l’olio motore impiegato per la revisione è interamente sintetico, per ridurre consumi ed emissioni e il filtro dell’aria viene sostituito per ottimizzare il flusso in camera di scoppio e una corretta combustione. Il controllo dei gas di scarico con certificazione ‘Bollino blu’ è compreso, così come nove verifiche supplementari mirate a controllare lo stato di tutti i componenti del motore, del sistema di carico e di iniezione. Da una prospettiva differente nascono invece altre due iniziative sul fronte della sostenibilità del service. Volvo Truck Corporation nel2008 hainaugurato a Verona la prima concessionaria priva di effetti sul clima, grazie all’utilizzo di pannelli solari installati sul tetto dell’edificio ed in grado di garantire una quantità di energia superiore a quella necessaria per riscaldare gli uffici e l’officina. Disponibilità energetica in assoluta autonomia dal gestore pubblico, silenziosità operativa, pulizia ambientale e assenza di campi magnetici grazie alla sorgente a corrente continua, si inseriscono concretamente in un contesto strategico di avanguardia, che riflette il pensiero lungimirante della casa svedese da sempre sensibile al delicatissimo rapporto con le risorse umane e il territorio. La terza proposta fa invece riferimento all’impegno di Arval, gruppo Bnp Paribas, nel coinvolgere nel proprio approccio allo sviluppo sostenibile e alla responsabilità sociale di impresa tutti gli stakeholder e gli attori del mondo automotive: fornitori, costruttori, operatori professionali, clienti, con l’obiettivo preciso di creare una vera e propria etica e deontologia della mobilità. Nasce così nel 2005 Ecopolis, un contenitore di progetti concreti promosso per affiancare le aziende clienti nel ridurre le emissioni inquinanti delle loro flotte aziendali. In Ecopolis trovano la propria collocazione gli Ecopolis Mobility Point, centri di eccellenza per qualità del servizio e sostenibilità ambientale, nei quali vengono effettuate le operazioni di riparazione e manutenzione dei veicoli dell’Ecopolis Fleet, con l’obiettivo di creare un vero e proprio network di officine e carrozzerie sostenibili. Gli Ecopolis Mobility Point sono selezionati da Arval su tutto il territorio italiano in base al rispetto di una serie di specifici criteri: oltre agli standard qualitativi elevatissimi e al rispetto delle normative ambientali, si distinguono per l’impegno nella promozione di azioni concrete di sviluppo sostenibile e per la scelta di utilizzare strutture, impianti e attrezzature a basso impatto ambientale. Va sottolineato che Arval, al contrario di Volvo e Toyota che si avvalgono di una rete autorizzata di officine, coinvolge i propri fornitori, piccole e medie imprese autonome che lavorano in forza di una convenzione. Se quindi, da un lato, la sostenibilità ha ormai assunto un ruolo di prim’ordine nella strategia delle case automobilistiche, dall’altro lato, si riscontra una minore attenzione verso la gestione sostenibile con riguardo alle attività di manutenzione e riparazione, e, più in generale, nell’area del service. Prima causa di questo disequilibrio di interesse è sicuramente la presenza di un quadro normativo che regolamenta l’impatto ambientale in fase di omologazione dei veicoli. Ingenti investimenti vengono quindi indirizzati da parte delle case costruttrici sia nello sviluppo di veicoli poco inquinanti, sia nella comunicazione al cliente finale dei vantaggi provenienti dall’utilizzo di tali mezzi. Minore attenzione viene invece posta sul mondo dei servizi post-vendita. Tale disparità si riflette anche a livello di reti distributive e di assistenza: i concessionari tendono infatti a porre maggiore attenzione sul prodotto nuovo, piuttosto che sulle attività di post-vendita. A tale proposito, coinvolgere i propri fornitori e partner è stata una delle principali criticità che Arval ha riscontrato all’inizio del percorso Ecopolis Mobility Point. Come per tutti i cambiamenti, infatti, ci sono delle realtà che hanno delle difficoltà ad adeguarsi o che hanno bisogno di più tempo per modellare la loro operatività su principi nuovi e su un nuovo tipo di mentalità orientata al lavoro. Quello che è necessario trasmettere e capire, dichiara Arval, è la nuova dimensione in cui ogni azienda, grande o piccola che sia si trova ad operare. La sostenibilità non è una moda ma una reale esigenza sia di mercato ma anche di migliore prospettiva di vita per ognuno di noi, investire oggi in processi ecologici, in macchinari meno impattanti genera non solo un risparmio economico futuro ma anche la possibilità di rimanere al passo con i tempi e non essere automaticamente escluso da un’offerta non più in linea con le richieste del mercato. Per risolvere questa criticità, Arval ha investito fortemente in comunicazione, organizzando eventi territoriali per coinvolgere direttamente le strutture, illustrando loro il progetto e creando così momenti di incontro e dialogo. Infine, come dimostrano tutti i casi, abbattere le barriere culturali è forse la più grossa sfida, da superare attraverso un impegno costante nell’educazione, nella formazione e nell’informazione. Unico modo per rendere sempre più consapevoli, ognuno di noi, del valore portato dalla sostenibilità. Il progetto “Officine sostenibili” Come si è avuto modo di osservare in precedenza, benché la sostenibilità ambientale rappresenti per il settore automotive un tema di forte interesse, la sensibilità nell’ambito del service risulta ridotta. Anche nei pochi casi in cui vengono proposte soluzioni di gestione basate sui principi della sostenibilità, ciò che emerge è la mancanza di approcci e metodologie sviluppati in modo specifico per il post-vendita, che contemplino, accanto alle caratteristiche infrastrutturali, anche aspetti legati ai processi e alle attività. È in un tale contesto che si inserisce il progetto di ricerca applicata ‘Officine Verdi’, basato sulla declinazione nel post-vendita dei concetti di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale d’impresa. Il progetto nasce infatti per supportare le reti di riparazione auto (officine meccaniche ed elettriche, carrozzerie e gommisti) nel coniugare in modo proficuo responsabilità ambientale e sviluppo economico attraverso lo sviluppo di una metodologia per la valutazione e il monitoraggio del livello di sostenibilità di un’officina, abbinata sia a un sistema per l’individuazione dei processi ad alto impatto ambientale, sia a strumenti di supporto per la risoluzione delle criticità riscontrate. Per costruire un’officina attenta agli aspetti di sostenibilità non servono infatti attrezzature futuribili o tecnologie immaginarie: basta studiare a fondo le attività svolte, le risorse impiegate, i materiali utilizzati e i rifiuti prodotti, così come le caratteristiche infrastrutturali. Il modello di riferimento, fondato sui principi della logica del Life Cycle Assessment (Lca), è caratterizzato da una struttura modulare che ne consente l’adattabilità a tutte le tipologie di officina. Si compone di otto fasi sequenziali che formano un anello chiuso attraverso un ciclo di feed-back, fondamentale per promuovere una filosofia di miglioramento continuo.
Al contempo, come indicato in fase 4, le interviste sul campo permettono di acquisire una certa sensibilità riguardo agli effetti delle attività di officina sull’ambiente e sugli aspetti da monitorare in quanto soggetti a maggiore criticità, arrivando così a definire una green balanced scorecard. La misurazione delle performance costituisce infatti un importante momento del processo di gestione delle attività e dei processi. Attraverso la quantificazione degli impatti ambientali, l’intera organizzazione acquisisce una maggiore sensibilità verso l’individuazione delle aree critiche e verso il miglioramento delle prestazioni. Come riportato in Figura 3, la green scorecard si articola in sei aree di performance, delle quali tre sono riferite agli input impiegati per lo svolgimento delle attività di officina (consumo di materiali, di energia e di acqua), una è relativa agli impatti delle attività rilevati mediante la produzione di rifiuti e due fanno infine riferimento agli investimenti sostenuti per il miglioramento delle prestazioni ambientali dell’azienda. Questi ultimi sono rappresentati dalle spese per interventi di protezione ambientale o di incremento del livello di eco-efficienza delle attività aziendali, nonché i progetti eventualmente avviati per innovazioni in campo ambientale o iniziative di formazione su tematiche ecologiche.
Ciascuna area di performance viene successivamente declinata in un set di indicatori di performance bilanciato, costituito da misure sia fisico-tecniche, sia economico-finanziarie. Esempi di indicatori associati alle sei aree di performance descritte sono riportati in Figura 3.
Dato l’elevato grado di eterogeneità degli indicatori presenti nella scorecard, è previsto inoltre l’utilizzo di un criterio di aggregazione dei dati che possa facilitare il confronto delle prestazioni ambientali di processi o di aziende differenti. Escludendo le aree di spese per l’ambiente e di innovazione e formazione, che si rifanno ad aspetti maggiormente legati agli investimenti e non al raggiungimento dell’efficienza ambientale nel breve, tutti i valori relativi ai restanti parametri possono essere possono tradotti (utilizzando la formula di caratterizzazione di Heijungs et al. (2004), adattata da Forster et al. (2007)) in emissioni di CO2 equivalente attraverso l’utilizzo dei fattori di emissione caratteristici della singola tipologia impiantistica e del materiale consumato, secondo gli standard del protocollo Clean Planet.
La mappatura dei processi in termini di attività svolte, input utilizzati, risorse richieste e rifiuti generati, unita a uno strumento per il monitoraggio delle performance configurato “ad hoc” per il contesto di riferimento, costituiscono “de facto” il cuore pulsante del modello sviluppato, nonché un potente strumento per l’identificazione di possibili interventi di miglioramento.
Con la matrice input/output/risorse e processi/infrastrutture (Figura 2) in una mano e la green scorecard nell’altra (Figura 3), si è pronti per rilevare sul campo i dati richiesti dal modello e per misurare gli indicatori proposti, tradotti successivamente in emissioni di CO2 equivalente. Una classifica di questi ultimi permette quindi di isolare l’indicatore “critico”, ovvero quello che rappresenta attività, input, output o risorse a maggiore impatto ambientale. Attraverso l’utilizzo della matrice riportata in Figura 1 è quindi possibile risalire ai processi maggiormente coinvolti nell’emissione di CO2 equivalente, circoscrivendo in tal modo gli input, gli output e le risorse a più alto impatto ambientale.
In particolare, dalle analisi effettuate sul campo, è emerso che l’impatto ambientale di un’officina è fondamentalmente riconducibile a tre cause principali: come vengono utilizzati gli input, come vengono gestiti gli output e come vengono scelte e utilizzate le risorse. Per quanto concerne la relativa risoluzione possono essere effettuati diversi tipi di interventi di natura:

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