PMI Day 2025: lunga vita a chi fa impresa
Il 14 novembre 2025 si celebra in tutta Italia la 16esima edizione del PMI Day, la Giornata nazionale delle Piccole e medie imprese (PMI), un’iniziativa promossa da Confindustria e in particolare dal Comitato della piccola industria, con l’obiettivo di avvicinare scuole, studenti e cittadini al mondo dell’impresa reale. L’intento è semplice, ma cruciale: sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza delle PMI, la spina dorsale dell’economia italiana (l’iniziativa ha ricevuto il patrocinio di: Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Ministero dell’Istruzione e del Merito; Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome).
Il PMI Day 2025, il cui tema è “scegliere”, si propone come un momento di confronto tra imprese, scuole, istituzioni e studenti, dove si fa ‘cultura operativa’ e si diffonde informazione sull’economia reale. In un mondo che celebra le grandi multinazionali, il PMI Day ci riporta alla realtà: sono le piccole e medie imprese, spesso invisibili, a tenere in piedi il Paese.
“Le piccole e medie imprese sono la colonna portante del nostro territorio: su 4,5 milioni di imprese, il 98% è di piccola e media dimensione. Il PMI Day abbraccia, quindi, tutta l’economia reale”, spiega Fabio Papa, docente di Economia alla 24Ore Business School e Coordinatore Scientifico del programma MBA part-time.
Il valore nascosto delle PMI
Dietro i numeri si nasconde una realtà spesso poco raccontata. Nonostante le PMI italiane diano lavoro al 70% della forza lavoro privata, restano nell’ombra dei grandi marchi internazionali. Molte di queste aziende, circa 83 su 100, sono a conduzione familiare, e proprio la famiglia rappresenta un elemento distintivo del modello imprenditoriale italiano: la famiglia non è un limite, ma un asset; è un ecosistema fondato sulla fiducia e sulla collaborazione, capace di generare valore economico e sociale.
“Siamo abituati a parlare di multinazionali come Google o Amazon, ma chi porta davvero avanti il Paese sono i cosiddetti campioni nascosti, gli underdog dell’economia italiana: migliaia di imprese familiari che creano occupazione e valore, anche se non finiscono mai in prima pagina”, osserva Papa.
Uno degli obiettivi del PMI Day è anche riabilitare la figura dell’imprenditore agli occhi dell’opinione pubblica. In Italia, infatti, chi fa impresa è spesso demonizzato: come spiega il docente, è visto come chi sfrutta le persone o non paga le tasse, ma la verità è che si tratta di una persona che ha avuto il coraggio di creare qualcosa, dando lavoro e ricchezza al territorio. L’imprenditore non è un nemico, ma un alleato della società.
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Risolvere il passaggio generazionale
A proposito di imprese familiari e di imprenditori, il PMI Day è l’occasione per riflettere su uno dei nodi più delicati del sistema produttivo italiano: il passaggio generazionale nelle imprese familiari. Secondo Papa, il termine stesso è improprio: “Non si tratta di un passaggio, ma di una convivenza generazionale. Genitori, figli e spesso nonni condividono la gestione dell’azienda, e il segreto del successo è la comunicazione aperta. Nelle imprese familiari, purtroppo, si parla troppo poco”.
Secondo quanto risulta al docente, data la sua professione di comunicatore con i giovani, è il disagio che spesso vivono i figli degli imprenditori stretti in una morsa di pressioni psicologiche enormi. Si parla spesso di ‘figli di papà’, ma pochi si chiedono quale peso portino sulle spalle fin da bambini: “Il problema non è la loro pigrizia, ma il fatto che la società è ancora guidata da persone che non parlano il linguaggio dei giovani”, dice Papa.
C’è poi l’attualissima questione delle competenze, anche in questo caso legato alla figura dell’imprenditore e alla successione. Siamo sicuri che i capi azienda siano pure degli ottimi insegnanti? Non sempre è così e, a complicare il quadro c’è che anche la scuola non sta formando in modo adeguato tecnici e classe dirigente. Quindi, chi prepara davvero i giovani al lavoro? Secondo Papa, l’expertise oggi è concentrata nella generazione tra i 55 e i 75 anni, mentre tra i giovani si è persa la cultura del sacrificio. E, in questo caso, il docente punta il dito contro la società: “Ha creato un falso benessere, facendo mancare la voglia di conquistare le cose”.
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