Non studiano né lavorano, i Neet sono davvero inattivi?
L’allarme arriva dal World economic forum (Wef) di Davos. Secondo un recente rapporto sulla mobilità sociale, in Italia sono oltre 2 milioni i giovani inattivi, cioè coloro che né lavorano né studiano. Sono i cosiddetti Neet, acronimo di Neither in employment nor in education or training. Stando alle cifre diffuse, i Neet sono il 19,2% […]

L’allarme arriva dal World economic forum (Wef) di Davos. Secondo un recente rapporto sulla mobilità sociale, in Italia sono oltre 2 milioni i giovani inattivi, cioè coloro che né lavorano né studiano. Sono i cosiddetti Neet, acronimo di Neither in employment nor in education or training.
Stando alle cifre diffuse, i Neet sono il 19,2% dei giovani tra i 15 e i 24 anni: il dato proietta l’Italia tra i peggiori Paesi valutati dal Wef (siamo al 56esimo posto sugli 82 totali). A rendere ancor più inquietante lo scenario ci sono poi i dati Ocse sul tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni): 22% nell’Eurozona e 40% nel nostro Paese.
Si consideri poi che in parallelo a chi non studia e non lavora, ci sono i ‘troppo istruiti’ (overeducated), cioè in possesso di titoli di studio troppo elevati rispetto al lavoro che svolgono. Un’altra inchiesta condotta su oltre 10mila studenti e laureati ha svelato che tra le maggiori difficoltà relative all’ingresso nel mondo del lavoro c’è la mancanza di esperienza (26%), mentre il 13% attribuisce la colpa all’overeducation.
Il tema dei Neet non è di certo nuovo. La questione dell’ingresso nel lavoro è già stata oggetto di duri scontri ideologici nel passato e si è spesso legata alla questione formazione-lavoro. Serve, tuttavia, evidenziare che al di là delle etichette – appunto Neet – chiunque trascorre la propria giornata facendo qualcosa, e per “qualcosa” non si può intendere solo il lavoro.
Escludendo chi non ha fisicamente la possibilità di svolgere qualche attività, tutti ‘fanno qualcosa’. Se vogliamo considerare l’esempio di chi trascorre la sua giornata a giocare con una consolle, potremmo considerare che quel giovane sta facendo formazione. D’altra parte sono sempre di più i programmi formativi che richiedono l’ausilio del gioco. A tal proposito è recente l’entrata di Playmobil proprio nel mondo della formazione, per seguire le orme del ben noto Lego Serious Play.
Vogliamo quindi leggere in questo modo il dato, certo preoccupante, dei Neet, provando a ‘elevare’ ogni attività svolta dai giovani che non per forza lavorano o studiano. In fondo è stato evidenziato in tante occasioni che il sistema formativo non è in grado di sviluppare certe competenze (non solo quelle soft) e che le organizzazioni, una volta inserite le nuove risorse, debbano impostare lunghi percorsi di formazione. Perché allora non partire dalle passioni dei giovani? Ne parliamo nell’articolo qui sotto che spiega perché è necessario valutare con attenzione le passioni dei candidati. Magari anche quelle maturate in lunghe giornate di… ozio.
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Categoria: Risorse Umane, Formazione e sviluppo

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