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mercoledì, 17 Settembre, 2025

Le tre abilità fondamentali del venditore del futuro

Sappiamo ormai tutti che per vendere non basta più saper parlare, ma è necessario saper ascoltare il proprio potenziale cliente. Ma nella realtà dei fatti: quanto questo accade davvero o in maniera realmente efficace nelle organizzazioni di oggi? Non sempre, infatti, si vedono veri cambiamenti in termini di comportamentali da parte di chi fa questo […]
28 Settembre 2022
Di: Agnese Binetti
28 Settembre 2022
Consulenza
Sappiamo ormai tutti che per vendere non basta più saper parlare, ma è necessario saper ascoltare il proprio potenziale cliente. Ma nella realtà dei fatti: quanto questo accade davvero o in maniera realmente efficace nelle organizzazioni di oggi? Non sempre, infatti, si vedono veri cambiamenti in termini di comportamentali da parte di chi fa questo lavoro. Si pensi all’ultimo incontro con un commerciale, che sia stato sul lavoro o nella vita privata (per esempio telemarketing): quanto tempo è stato dedicato a fare domande per capire esattamente di che cosa poteva aver bisogno l’interlocutore e quanto invece è stato dedicato a convincere che la soluzione proposta fosse quella giusta? Facciamo esperienza quasi ogni giorno di quanto di fatto prevalga nei venditori la spinta al risultato a tutti i costi. Certamente questa non è solo responsabilità dei venditori, ma è soprattutto delle organizzazioni: l’attenzione ‘sana’ dovrebbe essere non tanto sui risultati, bensì sui comportamenti che le persone agiscono per avere risultati. Proprio quando c’è bisogno di portare risultati importanti vale la pena togliere l’acceleratore dalla pressione sul raggiungimento degli obiettivi e concentrarsi invece sui comportamenti che sappiamo favoriscono il successo. Una domanda importante per i ruoli manageriali è: quanto ci stiamo occupano davvero dei comportamenti quotidiani dei nostri commerciali? Spesso l’attenzione è solo sui risultati finali, ma questo atteggiamento può essere deleterio per una tra altre ragioni soprattutto: il Net promoter score (Nps), ormai adottato dalla maggior parte delle più grandi aziende, è il punteggio che si calcola tenendo in considerazione non soltanto il numero delle persone soddisfatte del prodotto-servizio, ma anche la percentuale di persone che del prodotto-servizio parlano male, perché non soddisfatte. Appare quindi chiaro che la reputazione aziendale è un fattore critico di successo. Per passare davvero dalla vendita alla consulenza sono indispensabili almeno tre cose: conoscere bene il target ideale; ascoltare più che parlare; puntare sulle relazioni più che sul contratto a tutti i costi.

Conoscere bene il target ideale

Iniziamo dal target ideale: ancora moltissime aziende oggi usano la strategia di arrivare a più contatti possibili per aumentare le probabilità di chiusura delle negoziazioni. Avere un’idea ben chiara di chi è il nostro cliente ideale, di che cosa ha bisogno e in che modo il nostro prodotto o servizio lo possa aiutare a risolvere una sua esigenza, permette invece di ottimizzare le risorse e avere maggiori soddisfazioni. La preparazione in questo è fondamentale. Il coaching ci insegna che le domande possono avere grandissimo potere: il mio servizio-prodotto a quale esigenza specifica risponde? Chi è l’interlocutore che ha questa esigenza e quando si trova ad averla?

Ascoltare più che parlare

Rispetto all’ascolto, c’è da evidenziare che si tratta di un comportamento molto menzionato e poco agito. Immaginate l’ultima chiamata di telemarketing che avete ricevuto. Dall’altra parte qualcuno inizia a raffica a parlarvi di che cosa vuole vendervi e magari vi ritrovate a pensare che un servizio o prodotto di quella azienda vi farebbe sì comodo, ma non è quello di cui vi sta insistentemente parlando l’operatore. Ascoltare significa mettere al centro della nostra attenzione il cliente e i suoi bisogni e non il nostro prodotto o servizio; se lo facciamo con il sincero e profondo desiderio di essere ‘consulenti’, i nostri clienti lo percepiranno in modo chiaro e sarà una leva fondamentale per essere ‘diversi’ dai nostri concorrenti. Il presupposto di un buon ascolto richiede la capacità di dare un significato profondo alle esigenze dell’interlocutore e in modo naturale; seguendo il flusso, un buon consulente continua a fare domande di approfondimento per sviscerare fino in fondo le aspettative di chi gli sta di fronte. Le domande di un venditore non devono quindi essere manipolatorie, come purtroppo osserviamo in molti casi (sequenze di domande chiuse orientate al ‘sì’ utilizzando un disco di vendita imparato a memoria), ma devono essere realmente orientate alla conoscenza dell’interlocutore. È, ancora una volta, una questione di atteggiamento e di metodo: se ci alleniamo a fare domande le soluzioni e le proposte avverranno in modo spontaneo e fluido come la naturale soluzione a un problema; il consulente non avrà bisogno di forzare la mano per definire un contratto, ma sarà la conclusione più logica dell’incontro. Quante organizzazioni si prendono cura fino in fondo di come i loro commerciali agiscono la relazione con i clienti? In Openminds spesso ci sentiamo dire che venditori che fanno questo mestiere da più di sei-sette anni non hanno più bisogno di formazione perché comunque portano i risultati. Siamo proprio sicuri che non ci sia più spazio per evolvere? Sappiamo che modello di vendita stanno agendo? E come stanno diffondendo l’immagine aziendale? Un metro per capire se il vostro commerciale è più o meno vicino al ruolo di consulente lo si misura con la quantità di tempo di ascolto: se nell’incontro con il cliente il venditore parla per più del 60% del tempo sappiamo già che appartiene alla categoria dei commerciali destinati a estinguersi.

Puntare sulle relazioni più che sul contratto a tutti i costi

Quando la concorrenza aumenta e differenziarsi diventa sempre più difficile, una cosa, più di altre, può fare la differenza: la relazione. Permettere ai nostri clienti ideali di conoscerci, fidarsi e ‘affezionarsi’ alla figura del commerciale in modo da garantire risultati più sostenibili. È davvero più produttivo rinunciare a una vendita, e aiutare il nostro cliente a risolvere il suo problema (magari con una altra società), piuttosto che forzarla, perché, con ogni probabilità, ci darà problemi successivi. Proprio per questo il cliente apprezzerà il nostro apporto consulenziale e sarà per noi un referente attivo, ossia una persona che parla bene di noi e della nostra azienda. Certo, per essere congruenti a questi principi occorre avere la lungimiranza di ragionare nel medio periodo e non solo sul tutto e subito. Ricordiamo poi che essere consulenti significa essere ‘presenti’ verso il cliente non solo nella fase in cui tutto va bene, ma soprattutto quando possono esistere problemi di varia natura (per esempio consegna merce, cambio prezzi, reclami, ecc..)
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