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mercoledì, 17 Settembre, 2025

Gioventù senza futuro: perché è (anche) un problema delle aziende

Durante la pandemia degli ultimi due anni, si è detto più volte che i giovani sono stati i grandi dimenticati. A loro, per esempio, è stato chiesto di rinunciare a tutto ciò di cui un’adolescenza sana avrebbe bisogno: tra chiusure, restrizioni, didattica a distanza e distanziamento sociale, i ragazzi sono stati privati di incontri, amicizie, […]
16 Novembre 2022
Di: Elisa Marasca
16 Novembre 2022
Durante la pandemia degli ultimi due anni, si è detto più volte che i giovani sono stati i grandi dimenticati. A loro, per esempio, è stato chiesto di rinunciare a tutto ciò di cui un’adolescenza sana avrebbe bisogno: tra chiusure, restrizioni, didattica a distanza e distanziamento sociale, i ragazzi sono stati privati di incontri, amicizie, amori, errori, tentativi, contatti. È lunga la lista di esperienze negate che i giovani hanno dovuto mettere in pausa indefinitamente, in una fase di vita decisiva per lo sviluppo delle relazioni e dell’identità. Gustavo Pietropolli Charmet (psicoterapeuta, docente di Psicologia Dinamica all’Università Statale di Milano e all’Università di Milano Bicocca, che da decenni lavora con gli adolescenti e le loro famiglie) affronta questi temi nel libro dal titolo Gioventù rubata – Che cosa la pandemia ha tolto agli adolescenti e come possiamo restituire il futuro ai nostri figli (Mondadori, 2022). Nel testo analizza i punti critici del periodo che stiamo vivendo e spiega come trasformarli in elementi di riflessione, per consentire a genitori e figli di recuperare uno sguardo condiviso verso il futuro, costruendo relazioni sane in famiglia e nella collettività. L’idea di scrivere il libro è nata all’inizio dell’autunno 2020, quando il docente ha cominciato a sentir dire da colleghi, docenti e genitori che un numero sempre maggiore di ragazzi ostentava le manifestazioni più preoccupanti dei sintomi di sofferenza psichica: si trattava di episodi di una certa gravità, perché già a fine settembre 2020 non si trovava più un posto letto disponibile nelle corsie ospedaliere riservate ai più giovani. “Negli ambulatori e nei servizi territoriali di neuropsichiatria infantile le liste d’attesa per una consultazione erano chilometriche e si arrivava ben dopo Natale prima di essere ricevuti”, racconta l’autore nella premessa, ricordando i fatti di quell’autunno, aggiungendo che, due anni dopo, la situazione non è molto diversa.

La scuola non deve ‘traballare’

A fronte della diffusione di queste manifestazioni di disagio psichico, da più parti si è chiamata in causa la scuola perché incerta, inadempiente, troppo spesso chiusa e responsabile di avere scelto la didattica a distanza, ripudiata dalla maggior parte dei ragazzi e alla fine criticatissima da tutti. “Non immaginavamo infatti che l’istituzione scolastica avesse un impatto così forte sul benessere o malessere dei suoi studenti, che fungesse da scudo protettivo nei confronti della crisi identitaria che contraddistingue l’adolescenza. La scuola che traballa sconquassa il sentimento di identità del giovane studente e lo lascia desolato, privo di difese”, scrive Pietropolli Charmet nel suo libro. Il docente paragona la scuola all’azienda che dà da lavorare agli adulti e che offre loro un ruolo sociale all’interno di una comunità civile. Dalla sua esperienza, l’autore ha visto che essere socialmente disoccupati suscita rabbia, ma paradossalmente anche vergogna e i ragazzi senza scuola e senza lavoro possono pure fare gli arroganti, tuttavia il loro problema è la mortificazione di avere smarrito l’identità di studente che una certa dose di autostima la regalava, insieme con i compiti da svolgere. Pietropolli Charmet sottolinea poi che ciò che abbiamo imparato dalla pandemia è che la scuola non deve ‘traballare’ nella misura in cui è coinvolta in un complesso dispositivo psicosociale che tutela la legittimità di alcuni bisogni degli adolescenti e garantisce identità sociale, esistenza del futuro, cruciale scoperta della propria vocazione. A partire dalla scuola, per arrivare al mondo dei social media, passando dal ruolo della famiglia, l’obiettivo del libro è cercare di dipanare la matassa di fili che collegano i sintomi di cui soffrono oggi i ragazzi alle esperienze vissute in questi anni di pandemia. “Se questa situazione continuerà, bisognerà ricordarsi degli adolescenti, coinvolgendoli nelle loro speranze e bisogni di relazione”, chiosa l’autore.  
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