La città (ecologica) che se si prende cura degli abitanti
Qual è la grande incognita della città travolta dalla pandemia? Lo spazio pubblico? I parchi chiusi? La scuola? La casa? Per rispondere a queste domande e risolvere i problemi connessi è necessario identificarli con chiarezza: è questo l’obiettivo del libro La città buona. Per un’architettura responsabile (Marsilio, 2021) scritto da Alfonso Femia, designer e fondatore […]

Qual è la grande incognita della città travolta dalla pandemia? Lo spazio pubblico? I parchi chiusi? La scuola? La casa? Per rispondere a queste domande e risolvere i problemi connessi è necessario identificarli con chiarezza: è questo l’obiettivo del libro La città buona. Per un’architettura responsabile (Marsilio, 2021) scritto da Alfonso Femia, designer e fondatore dello studio Atelier Alfonso Femia, e Paul Ardenne, storico dell’arte specializzato in urbanistica contemporanea. Gli autori hanno analizzato e incrociato il tema della vulnerabilità pandemica e pre-pandemica con la necessità di trovare nuove formule di convivenza attraverso l’urbanistica e l’architettura.
Il libro è il risultato di una duplice valutazione nata dalla crisi: l’inadeguatezza della nostra società alle condizioni di vita create dalla pandemia e l’inadeguatezza, ancora, dell’attuale offerta in materia di architettura e urbanistica, per esempio habitat e scuole inadeguati, città in cui servizi e prerogative sono distribuiti in maniera incoerente, un territorio non sufficientemente pianificato e popolazioni trascurate… “La città contemporanea è disfunzionale, incapace di reagire o di proporre azioni efficaci e concrete, di saper prevedere e anticipare le nostre debolezze forse a causa di un’idea cieca e arrogante, quella di non considerarci fragili o vulnerabili”, si legge nel testo.
Riadattare le città in ottica sostenibile
È urgente, quindi, ripensare le nostre infrastrutture e chiedersi cosa ci aspettiamo dall’habitat, dai servizi, dall’ambiente, dalle nostre città per il futuro. Sono proprio queste le questioni esaminate: la relazione tra pandemia e vulnerabilità; i percorsi attuabili per riadattare la città alla mutazione; scuola e habitat come motori dell’evoluzione. “Non accostatevi alla lettura di questo libro se pensate che contenga una ricetta miracolosa per la città”, si legge nell’introduzione al volume. “Nessuna pozione magica, nessuna soluzione istantanea: per progettare una città buona serve la collaborazione di tutti quelli che la vivono e che, abitando, lavorando, divertendosi e studiando, condizionano e condividono architettura e luoghi, emozioni e sentimenti”. Il libro si focalizza sulla parola “tutti” perché le persone devono essere messe nella condizione di interagire con la città: i giovani (il mondo non è però solo dei giovani), gli anziani (con il loro sostanziale diritto ad abbandonare la fretta) i bambini, i soggetti vulnerabili per sesso e salute. L’obiettivo collettivo è che il benessere sia democratico e rispettoso dell’ambiente. Per questa città buona è necessario, quindi, che tutte le generazioni si impegnino alla ricerca del miglior habitat possibile, facendo del senso civico la missione individuale e comunitaria. Ogni immagine contenuta nel volume è insieme denuncia e soluzione delle situazioni che descrivono la città come l’habitat, la solidarietà, la responsabilità, la generosità, la fragilità, le scuole, il miglioramento della vita delle persone. In copertina c’è il disegno di un angelo, una sorta di profilo autorevole che veglia sulle azioni coordinate di architetti, urbanisti e amministratori nel processo di trasformazione della città.
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