50 sfumature di candidati
Veronica sta facendo un colloquio con un selezionatore di un’azienda per lei molto interessante. L’intervista si sta svolgendo in modo tradizionale: domande sul suo percorso di studi, sulle sue esperienze, sulle aspirazioni. Fino a quando, eccola, la domanda a cui non si sa mai cosa rispondere, quella per cui ci si prepara la sera prima chiedendo consiglio alle amiche. La domanda sui punti di forza e le aree di miglioramento. Che cosa vorrebbe sentirsi dire lo specialista HR seduto davanti a lei? Per quanto riguarda le qualità, nessun problema, ma come si esce indenni da un faro puntato sulle debolezze, su quello che la gente tende a nascondere, perché segno di difetto, di mancanza? Veronica, rassegnata, risponde come le hanno consigliato: con aggettivi “bivalenti”, che a seconda di come li si commenta possono avere sia un significato positivo che negativo. Della serie: anche i difetti in realtà sono pregi. Quelli che vanno per la maggiore sono “preciso” e “ostinato”.
E anche lei ripete la coppia d’oro, raccontando a sé stessa che anche se non è perfetta le piace fare le cose bene e che esaltare un po’ la sua determinazione non procurerà danno a nessuno. Il selezionatore ascolta bene la risposta e si annoia. Si annoia a morte, disconnettendosi per qualche istante dal colloquio e facendo una rapida statistica delle risposte date negli anni dai candidati alla fatidica domanda. Il 75% dei candidati è preciso e ostinato. Sicuramente, se questi fossero i difetti dell’umanità tanti problemi non esisterebbero, ma il punto è un altro. Nel racconto di sé stessi i candidati si polarizzano in due categorie. Quelli che hanno la missione di dare un’immagine di sé diversa dalla media, correndo il rischio di esagerare in modo non genuino, e quelli che rimangono in una zona di confort fatta di descrizioni che non lasciano il segno ma nemmeno allertano.
In tutto questo, candidati e selezionatori si perdono un universo di diversità, di realtà, di sfumature, di possibilità di stupire e di lasciarsi stupire. Qualche settimana fa, mentre pensavo alla ricchezza e alla varietà della personalità individuale, mi è venuto in mente l’espressione “caratteristiche non convenzionali”. Sono quelle a cui fatichiamo a dare un nome, ma che aprono un mondo di possibilità, perché il loro mix crea qualcosa di unico e impossibile da replicare. Ricordo ancora un candidato che mi disse: “So immaginarmi soluzioni. Le vedo come se già esistessero e provo a spiegarle. Ma devo fare in fretta, prima di perdermi qualcosa. Il problema è che i colleghi fanno fatica a capirmi, sono confusionario nel modo di esporre, proprio disordinato”. Mi sono quasi commossa per quella perla di “sei proprio tu” e oggi è una delle persone più brave nel suo ruolo. Nella selezione facciamo più spazio, sia come candidati che come selezionatori, a quello che ci rende diversi dagli altri, nel bene e nel male.
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