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sabato, 22 Novembre, 2025

Dall’estero

Ah, che bello il lavoro… pure in carcere o’ sanno fa

Tra le rivoluzioni post pandemiche c’è stata quella dello Smart working. Più in generale la principale conseguenza dell’impossibilità di incontrarsi dal vivo è stata quella di rendere normale, accessibile a tutti, il collegamento da remoto. Anche per lavorare: abbiamo imparato che non serve più, necessariamente, essere fisicamente presenti. Il fenomeno è arrivato perfino nelle mura […]
18 Novembre 2025
Di: Ilaria Mariotti
18 Novembre 2025
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Tra le rivoluzioni post pandemiche c’è stata quella dello Smart working. Più in generale la principale conseguenza dell’impossibilità di incontrarsi dal vivo è stata quella di rendere normale, accessibile a tutti, il collegamento da remoto. Anche per lavorare: abbiamo imparato che non serve più, necessariamente, essere fisicamente presenti. Il fenomeno è arrivato perfino nelle mura carcerarie.

Quando in una prigione del Maine, Stati Uniti, sono cominciati ad arrivare i primi schermi per assistere, in cella, a lezioni online e svolgere compiti, è spuntata un’idea: non si potrebbero usare i laptop per lavorare da remoto per aziende esterne e percepire un reale stipendio? Il Maine è uno Stato pilota nell’esperimento del lavoro da remoto in carcere. Lo hanno poi seguito altri due Stati. L’idea è nata, non a caso, durante il Covid-19, quando sono iniziate le lezioni online universitarie. Esattamente come potevano laurearsi durante il periodo di detenzione, le persone avrebbero anche potuto lavorare. E così è stato.

Lavoro full time e ben retribuito

Un esempio è stato quello di Darlene George, una giovane di Brooklyn, New York. Adesso è una coordinatrice per un programma di borse di studio per un centro di salute del Maine. Monitora e si assicura che siano assegnate regolarmente. Lavora dalle 7 alle 17 e lo fa dalla sua cella, full time. “In realtà le chiamiamo stanze”, ha detto all’intervistatrice di una radio locale, Susan Sharon, come riportato da Npr.org.

La sua è una condanna a 40 anni per omicidio. Per ora ne ha scontati 16 e il suo rilascio anticipato potrebbe avvenire nel 2040. Ma il suo non è un lavoro per carcerati e i suoi colleghi lo sanno. Anche le guardie carcerarie, alle quali comunica, con un segnale fuori dalla porta, che sta facendo una call e che non possono entrare. “Ma loro sanno che sono lì”. E non è pagata il minimo salariale consueto per chi è in prigione. Un cuoco carcerario guadagna 0,6 dollari l’ora, mentre chi è andato a spegnere i roghi in California 7.

George non è un caso isolato: in tutto i carcerati nel programma di lavoro da remoto sono 45. Tra questi c’è Preston Thorpe, che ha rivelato che il suo salario è pari a quello di un ingegnere software di livello senior negli Stati Uniti. Preston ha 33 anni. Ha raccontato di essere sempre stato un amante del computer, un nerd: “Proprio questo mi ha creato problemi nella vita”. E proprio per questo è detenuto: possesso di stupefacenti acquistati online, in particolare oppiacei talmente potenti da essere in grado di uccidere, peggio del Fentanyl.

La sua condanna è di 20 anni e per ora ne ha scontati nove. Ma adesso che ha trovato lavoro, ha un proposito. Ed è qualcosa di grande: l’azienda per la quale lavora è Turso, e si occupa di riscrivere il database open source SQLite, quello prevalente in tutto il mondo. “È su ogni telefono, ogni computer”. A scoprire il talento di Thorpe è stato Glauber Costa, CEO della società, attraverso un programma di recruiting.

I guadagni servono anche per risarcire le vittime

L’esperimento del lavoro in carcere è un successo. Lo ha testimoniato alla radio Randall Liberty, Membro del Department of Corrections, un organo governativo che vigila sulle carceri. In questo modo, ha spiegato, i detenuti possono fare donazioni, ma soprattutto sostentare le proprie famiglie. Ai detrattori, ha obiettato come i fatti dimostrino che, lavorando, i carcerati riescano a pagare assicurazioni sanitarie, spese scolastiche, vacanze ai parenti fuori dal carcere. Le retribuzioni, ha poi precisato, sono quelle di comuni cittadini: “Ci sono casi in cui si arrivano a percepire anche a 90mila euro annui”.  

Gli stipendi, però, non sono versati direttamente su conti correnti personali. Sono invece trattenuti da una sorta di banca centrale interna del Department of Corrections e per essere incassati serve una specifica richiesta. Nell’ambito carcerario, infatti, i lavoratori non sono liberi di acquistare molte cose, a parte comprare qualche extra come cibo o oggetti di elettronica.

Ma al di fuori del carcere, i soldi servono, per esempio, anche come forma di risarcimento dei propri reati. “Questa è la priorità”, ha assicurato Liberty. Il 25% delle entrate dei detenuti è infatti destinato alle vittime, mentre un altro 25% è riservato alle spese legali. Un 10% è, invece, accumulato sotto forma di risparmi. Un altro 10% è trattenuto per i costi di mantenimento della prigione. Succede anche altrove che parte delle retribuzioni dei detenuti siano affidate all’istituto carcerario. In Alabama, per esempio, dove si può lavorare anche al di fuori del carcere, ma il salario, fissato a 7 euro orari, è trattenuto dall’istituto per una quota pari al 40%.

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