Meno diritti, ma più produttività: accettereste?
Si può barattare la produttività con i diritti? In Portogallo sembra che i lavoratori un’idea precisa se la siano fatta: il Paese sta assistendo a un’ondata di proteste contro una riforma del lavoro che punta ad aumentare la produttività proprio sacrificando alcuni diritti. A suscitare il malcontento è stato il Disegno di legge depositato dal Primo Ministro Luis Montenegro, a capo di un Governo (centrodestra) che ha sempre promosso l’aumento della competitività per le imprese.
Il punto nodale della riforma è questo: per gli imprenditori diventerebbe più facile licenziare senza causa perché a venire meno sarebbe – in caso di approvazione della norma – la necessità di fornire documentazione e testimonianze. In più alle aziende sarebbe consentito di creare una sorta di ‘banca del tempo individuale’ che renderebbe legale un turno giornaliero più lungo di due ore, fino a un monte annuale di 150 ore. Un’iniziativa che ricorda da vicino il caso della Grecia, dove il Parlamento ellenico ha di recente approvato una legge che prevede che i dipendenti del settore privato possano lavorare 13 ore consecutive per lo stesso datore di lavoro, con una retribuzione maggiorata del 40%.
Le proteste nelle piazze del Portogallo
A Lisbona decine di migliaia di persone – secondo alcune stime addirittura 100mila – sono scese in piazza per protestare. “È chiaramente un passo indietro per la condizione dei lavoratori e potrebbe portare a una perdita in fatto di sicurezza sui luoghi di lavoro”, ha dichiarato alla Reuters Miriam Alvares, una manifestante 31enne impiegata in una azienda sanitaria. “Parlo a nome dei tanti giovani con lavori precari e bassi stipendi, lavoratori il cui futuro sarà segnato da diritti sempre più compromessi”. Le ha fatto eco Madalena Pena, 34enne: “Il Governo sta invertendo la rotta in fatto di diritti dei lavoratori senza averlo preannunciato in campagna elettorale”.
A guidare la manifestazione l’organizzazione sindacale Cgtp, che ha chiamato a raccolta i cittadini accusando l’Esecutivo di favorire le grandi aziende, mentre i lavoratori a basso reddito faticano a sostenere il caro vita. Il Portogallo, infatti, è uno dei Paesi più poveri d’Europa. Le statistiche ufficiali parlano di oltre il 50% della forza lavoro con redditi inferiori a 1.000 euro al mese. Il salario minimo è pari a 870 euro, uno dei più bassi dell’Unione europea.
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