Ascolto e impegno, l’eredità del lavoro di Armani

Con la scomparsa di Giorgio Armani, a 91 anni, non perdiamo soltanto uno degli stilisti più influenti della moda internazionale, ma soprattutto l’uomo che ha ridefinito il concetto stesso di eleganza, trasformando sobrietà e misura in una forma autentica di libertà. Il suo lascito va ben oltre le passerelle della maison che per 50 anni ha portato il suo nome: Armani è stato maestro e punto di riferimento per generazioni di collaboratori. Ne è testimonianza il rispetto profondo con cui tutti lo chiamavano semplicemente “Signor Armani”, un appellativo che ancora oggi risuona nei ricordi di chi lo ha conosciuto e stimato, come Francesco Tombolini, Senior Advisor e Coordinatore Scientifico di un nuovo Executive Master dell’area tematica Fashion & Luxury di 24Ore Business School, che con lui ha lavorato negli Anni 90 e Duemila, prima come Marketing and Sales Director e poi come SVP Sales.
“Oggi vediamo Giorgio Armani come un’azienda integrata, che unisce Produzione, Retail e Digitale. All’epoca, invece, c’era solo l’Ufficio stile: tutto passava attraverso le licenze, la parte industriale era ancora in fase di progettazione. Una delle grandi forze del Signor Armani stava proprio in questo: la mattina creativo, il pomeriggio raffinato industriale”, ricorda Tombolini. Quando vi entrò, negli Anni 90, Armani era un imprenditore sessantenne che non temeva di circondarsi di giovani: anzi, cercava il loro sguardo. “Aveva una vera e propria ossessione nel capire come i giovani vedevano il mondo. Da lui imparavamo molto, ma anche lui imparava da noi: questo generava rispetto reciproco e consolidava la nostra stima”.
Un tratto distintivo del suo metodo era il valore del silenzio. Tombolini lo definisce “maestro silenzioso”: pochi discorsi, ma chiari, diretti, efficaci. “E quando non capiva qualcosa, lo comunicava semplicemente. Era straordinario: una persona tanto prestigiosa, che con umiltà chiedeva chiarimenti”. Quel modo di guidare così diretto e visionario ricordava da vicino, secondo Tombolini, l’approccio di Steve Jobs, fondatore di Apple: attraverso l’esempio e la presenza costante, riusciva a trasmettere valori e disciplina.
Armani spingeva i giovani a osare
Anche la sua lezione più grande per i giovani era semplice: osare, anche sbagliando. “Armani ci aveva educato a ‘rubare con gli occhi’, a osservare attentamente ciò che funzionava negli altri, a capire cosa c’era di buono nei concorrenti. Era un uomo di grande rispetto: non si limitava a guardare solo ciò che facevamo noi, ma riconosceva il valore altrui”. Emblematica la volta in cui andò a visitare il primo negozio di Zara, catena di negozi spagnola, a Milano: fu tra i primi a farlo e si mostrò fiero di non essere stato riconosciuto, così da osservare liberamente e formulare una valutazione diretta. Inoltre, Armani era molto attento alle persone chiave: dai direttori di negozio, al retail, all’ufficio stile, all’ufficio prodotto, al marketing. “Quando riconosceva il talento, suggeriva al superiore di far crescere il collaboratore”.
Non dobbiamo però pensare a una forma incanalata di formazione. “Eravamo tutti giovani e lui, figlio dell’Italia del Dopoguerra, si era fatto da solo. Non aveva dunque metodi accademici, ma una pratica di mentoring quotidiano: osservava, guidava, correggeva e faceva crescere le persone attraverso l’esempio e l’attenzione individuale. Costruì un’azienda che andava dall’ufficio stile fino a venti fabbriche e cinquecento negozi. Non c’era un piano scritto, lo spartito era nella sua mente. La sua visione ci permetteva di muoverci con velocità e decisione”, racconta Tombolini. La forza di leadership di Armani stava nella chiarezza degli obiettivi: rendeva possibile a tutti lavorare in modo efficace, senza mai cadere nell’autoritarismo. Aveva autorevolezza, non autoritarismo: un equilibrio non scontato per quei tempi. Non era paternalista, ma autentico, capace di costruire equità reale. “In azienda moltissime donne occupavano posizioni di grande responsabilità: un fatto pionieristico, anche rispetto all’estero. Ci educava al rispetto delle persone senza pregiudizi.”
Questa attenzione ai dettagli, unita alla sua umiltà e alla capacità di ascoltare tutti — dai direttori ai fattorini — era ciò che lo rendeva un grande modello manageriale. La vera lezione è che il lavoro manageriale consiste nel dare spazio ai giovani, nel saper imparare continuamente e nel riconoscere il valore di ogni opinione. “Questa capacità di ascoltare tutti, senza mai snobbare nessuno, è forse la lezione più preziosa che ci lascia oggi, soprattutto in un mondo dove spesso questo approccio è raro. Secondo me, questo è un fattore tutto italiano, e dobbiamo saperlo valorizzare rapidamente”, conclude Tombolini. Dobbiamo imparare dal ‘Signor Armani’.

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