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mercoledì, 17 Settembre, 2025

Diplomazia culturale, la via italiana al soft power

Si è detto che il soft power rappresenta uno strumento per affrontare le esigenze dell’informazione, l’inevitabilità della propaganda e le crescenti minacce delle falsificazioni. E si è detto pure che può essere il modo per superare le crisi climatiche perché in grado di promuovere il consenso popolare. Quello che alla quinta Venice Soft Power Conference […]
28 Agosto 2024
Di: Dario Colombo
28 Agosto 2024
Soft_Power_cultura_Italia
Si è detto che il soft power rappresenta uno strumento per affrontare le esigenze dell’informazione, l’inevitabilità della propaganda e le crescenti minacce delle falsificazioni. E si è detto pure che può essere il modo per superare le crisi climatiche perché in grado di promuovere il consenso popolare. Quello che alla quinta Venice Soft Power Conference ancora mancava di sottolineare era il ruolo dell’Italia come esempio della diplomazia culturale. È stato questo l’ultimo argomento affrontato dagli esperti del Soft Power Group, riuniti a Venezia presso la Fondazione Giorgio Cini nell’Isola di San Giorgio Maggiore dal 26 al 27 agosto 2024, coordinati dal Presidente e Fondatore del Gruppo, Francesco Rutelli. Numerosi sarebbero gli esempi che vedono il nostro Paese protagonista dell’azione di soft power; tra questi il recente impegno italiano nel riportare in vita il Toro di Nimrud, un monumento realizzato nell’antica Mesopotamia che nel 2015 l’Isis aveva distrutto vicino a Mosul in Iraq: l’Italia, con l’associazione Incontro di Civiltà di Rutelli è stata in prima linea nella riproduzione dell’opera che prima è stata esposta a Roma e poi è stata collocata a Bassora, diventando un segno tangibile delle capacità del nostro Paese per restituire al mondo un’opera che era stata ridotta a un cumulo di detriti. Nella sessione che ha chiuso i lavori della Venice Soft Power Conference è stata ribadita la felice connessione dei temi affrontati nella conferenza e l’ospitalità offerta da Venezia sin dalla prima edizione (2019) dell’iniziativa. A evidenziarlo è stato il Sindaco della città, Luigi Brugnaro, che ha rimarcato come il soft power debba essere l’espressione del potere reale per la costruzione di un bene più grande, cioè quello comune: “Non vuol dire essere deboli, bensì diplomatici, perché ‘soft’ rimanda all’atteggiamento persuasivo per la presa di decisioni”. Brugnaro ha poi ribadito il ruolo centrale della città – “Da Venezia si ricostruisce un legame tra cittadini e istituzioni” – pure per altre tematiche, ricordando il progetto della Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità, che mira a creare un modello integrato di sviluppo sostenibile (ambientale, economica e sociale) per tutta l’area metropolitana. Si inserisce in questo ambito la proposta di adottare per Venezia – “Che subisce gli effetti dei cambiamenti climatici generati in varie parti del mondo” – il piano di sviluppo urbano Imagine Boston 2030 per modernizzare le infrastrutture della città, migliorare la qualità della vita e attrarre nuovi residenti e talenti. Sarebbe questa, per il Sindaco, un’azione di soft power per affrontare l’inverno demografico, considerato come una delle principali questioni sociali ed economiche da mettere al più presto in agenda.

La capacità diplomatica si basa sulla storia

Il soft power si nutre soprattutto di cultura, come sottolineato da Gennaro Sangiuliano, Ministro della Cultura, ospite dei lavori di chiusura della Venice Soft Power Conference per la seconda volta. L’esponente del Governo ha sottolineato più volte che “l’Italia è una superpotenza culturale”; un dato “oggettivo” che deriva dalla nostra storia: “È nel passato, come diceva Benedetto Croce, che ci sono gli strumenti per gestire il presente”. Il Ministro ha ricordato le numerose civiltà che si sono succedute nel nostro Paese e “ognuna di essere ha lasciato qualcosa”, potenziando la nostra capacità diplomatica proprio basata sull’eredità storica. “Dobbiamo promuovere l’italianità nel mondo, ma non ne senso nazionalistico, bensì legandola all’identità, cioè alla nostra appartenenza alla storia”, ha spiegato Sangiuliano, chiarendo che “l’identità è la nostra specifica maniera di affrontare il cambiamento”. E rifacendosi al filosofo e sociologo José Ortega y Gasset, ha ricordato che “per andare avanti serve avere i talloni ben saldi nel passato”. L’azione del soft power si concretizza nel dialogo tra le culture, ma – secondo il Ministro – a patto che si parte dalla consapevolezza della propria identità. È anche alla luce di questi aspetti che si può leggere il successo del Piano Mattei che ha aperto un dialogo con l’Africa, rifuggendo dall’approccio che Sangiuliano ha definito “predatorio”. Ecco allora che il soft power si alimenta della cultura della nazione con i musei – sui quali il Ministero ha investito largamente e altri investimenti arriveranno a breve – che diventano la “geografia della memoria culturale e collettiva del Paese”.

Potenziare la forza attrattiva del nostro Paese

Da remoto è poi intervenuto Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, che ha specificato come il soft power agisca sui concetti di attrattività e di influenza e non impone la superiorità di un bene, prodotto o territorio, ma lascia che siano gli altri a sceglierlo. “L’Italia ha una specifica forza attrattiva e il Made in Italy è l’applicazione concreta del soft power”, è stata la testi del Ministro. In particolare, Urso si è concentrato sul ruolo del Turismo e dell’Industria creativa: il primo dà lavoro a circa 3 milioni di persone e spinge a valorizzare il brand Italia, affermandone la qualità; il secondo è un settore trainato dalla trasformazione digitale, ma che nonostante il giro di affari di circa 90 miliardi di euro è ancora ben lontano da Paesi come Francia e Germania. “C’è il sostegno del Governo a questa industria ed è fondamentale collegarla con il Turismo”. Di cultura ha parlato anche Pietrangelo Buttafuoco, Presidente della Biennale di Venezia (l’edizione 2024 è iniziata ad aprile e si conclude il 24 novembre) che in fatto di soft power ha invitato i sapienti e i filosofi a confrontarsi nei casi di conflitti. E per trovare un terreno comune di dialogo, ha ricordato come tra il XV e il XIX secolo si ricorreva alla lingua sabir, conosciuta anche come lingua franca del Mediterraneo, che serviva come mezzo di comunicazione efficace tra persone di diverse nazionalità e lingue, facilitando il commercio e le interazioni quotidiane (era una lingua composta da un lessico misto di parole provenienti da italiano, portoghese, spagnolo, francese, greco, arabo e turco). “In questo modo le remote distanze trovavano una vicinanza”, ha detto Buttafuoco. La sua tesi è che più che fabbricare finestre da cui guardare il mondo, è necessario “essere nel mondo” e “dalla finestra saper accogliere ciò che arriva da lontano”. E in questo l’Italia non è seconda a nessuno.
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