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mercoledì, 17 Settembre, 2025

Il lavoro in ufficio è da boomer

Il 90% delle aziende statunitensi chiederà ai propri collaboratori di lavorare in presenza alcuni giorni a settimana entro il 2023, licenziando chi non darà la sua disponibilità. A evidenziarlo è una survey realizzata da Resume Builder, azienda Usa che supporta i professionisti nella realizzazione del proprio curriculum. I dati raccolti, come si legge sul sito […]
28 Ottobre 2022
Di: Monica Giambersio
28 Ottobre 2022
Smart working_nuove generazioni
Il 90% delle aziende statunitensi chiederà ai propri collaboratori di lavorare in presenza alcuni giorni a settimana entro il 2023, licenziando chi non darà la sua disponibilità. A evidenziarlo è una survey realizzata da Resume Builder, azienda Usa che supporta i professionisti nella realizzazione del proprio curriculum. I dati raccolti, come si legge sul sito HR Drive, mostrano inoltre che il modello ibrido è ormai diventato un elemento consolidato nell’organizzazione del lavoro. Il 77% delle imprese che attualmente adotta questo schema, vuole introdurre alcune modifiche, rendendo più strutturata la suddivisione tra le ore da svolgere in ufficio e quelle da remoto. Il 40% proporrà la presenza per quattro giorni a settimana, mentre il 31% si fermerà a tre; meno di un quinto delle imprese intervistate ha richiederà un rientro a tempo pieno in ufficio. Se, dunque, le aziende hanno ormai abbracciato il modello ibrido, lo stesso non si può dire delle persone che compongono le organizzazioni, specialmente le più giovani, che sembrano invece meno propensi a tornare dietro la scrivania. Da un sondaggio realizzato a fine settembre 2022 dal portale per la ricerca del lavoro Monster è emerso infatti che il 40% dei lavoratori appartenenti alle nuove generazioni si licenzierebbe se fosse costretto a tornare in sede anche un solo giorno alla settimana. Questa richiesta verrebbe interpretata dal personale più giovane come l’essere soggetti a un maggior controllo e a una mancanza di fiducia nella gestione autonoma degli incarichi assegnati.

La preferenza per il lavoro da remoto è una questione generazionale

Secondo l’esperto in reclutamento del personale Stacie Haller questa predilezione per lo Smart working è una caratteristica generazionale: “I manager più anziani non sono abituati a gestire da remoto i loro collaboratori e nutrono pregiudizi su questo nuovo modello di organizzazione del lavoro, perché ritengono che riduca la produttività”. Se le decisioni sul ritorno in ufficio fossero nelle mani di manager più giovani, più abituati a lavorare da remoto, ha aggiunto Haller, vedremmo meno aziende richiedere un ritorno, anche solo parziale, al lavoro in presenza. La maggior preoccupazione di chi predilige il lavoro in presenza è legata, inoltre, a una minore adesione delle persone ai valori aziendali; ciò vale in particolare per i più giovani che potrebbero beneficiare del confronto quotidiano in ufficio con il personale con maggiore anzianità lavorativa per crescere professionalmente e comprendere al meglio la mission aziendale. Tuttavia, secondo un report della fondazione Myers-Briggs, ente che svolge ricerca in ambito psicologico, al di là dei benefici del confronto in presenza, la strada da percorrere per ingaggiare maggiormente le persone è quella della mediazione e del dialogo: i manager dovrebbero ascoltare maggiormente i feedback sull’organizzazione del lavoro che provengono dai collaboratori, in quanto rigide imposizioni dall’alto di modelli organizzativi incentrati sul ‘controllo e comando’ potrebbero risultare controproducenti. La questione è aperta.
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