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mercoledì, 17 Settembre, 2025

Nelle mani della generazione ‘nessuno mi può giudicare’

La premessa è d’obbligo: già da prima dell’inizio della pandemia da Covid-19 in Italia c’era un problema con le valutazioni. Certamente a scuola (ma pure in azienda). Altrimenti non si spiegherebbero i continui cambiamenti di giudizio a livello scolastico con il solito pedagogista di turno sempre pronto a spiegare come non turbare gli studenti. Ed […]
17 Maggio 2020
Di: Dario Colombo
17 Maggio 2020
azzolina_scuola_voti
La premessa è d’obbligo: già da prima dell’inizio della pandemia da Covid-19 in Italia c’era un problema con le valutazioni. Certamente a scuola (ma pure in azienda). Altrimenti non si spiegherebbero i continui cambiamenti di giudizio a livello scolastico con il solito pedagogista di turno sempre pronto a spiegare come non turbare gli studenti. Ed è un fiorire di ‘scuola senza voti’ – ricordo la recente proposta di una scuola sull’uso delle emoticon – e di nuove strategie per non generare stress nei giovani. Ora arriva l’ultima proposta della Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina come sentenza di un anno scolastico interrotto dalla crisi sanitaria: niente bocciati, se non “in casi molto circoscritti”, perché in questa situazione non si poteva “prevedere un sistema diverso di valutazione”. Nel caso di insufficienze, se ne riparlerà a settembre 2020. Ma una scuola senza bocciati e di fatto che appiattisce tutte le performance – nonostante la pandemia – rischia di abdicare a uno dei suoi ruoli educativi. La società è intrisa di voti e giudizi. Non è un mistero che i social si prestino per offrire e ricevere feedback: il “like” va in questa direzione. È un proliferare di App per dare una valutazione su esperienze di pranzi e cene nei ristoranti o, ancora, di notti trascorse in albergo o in case-stanze messe a disposizione da altri utenti del web. E poi che dire dei numerosi format televisivi con giudici pronti a valutare – a volte senza pietà – le performance dei concorrenti? Insomma, siamo nel ben mezzo di una società che ruota intorno al feedback. Il problema è che ci manca una cultura per gestirlo. Da tempo in azienda ci si interroga sui processi di Performance management e sulla loro evoluzione. Abbiamo capito che limitarsi a un incontro annuale per valutare un percorso e fissare i nuovi obiettivi non è certo adeguato a una realtà che viaggia ben più rapida rispetto al passato (che poi non è molto diverso dall’esame finale di un percorso scolastico!). E così tante organizzazioni stanno introducendo la cultura del continuous feedback orientata al feedforward: non ti dico solo come è andato il passato, ma te lo dico in tempo perché si possano correggere le cose e ti aiuto a capire come migliorare in ottica futura. Resta, tuttavia, la questione del dare e ricevere la valutazione. È un processo che si dovrebbe imparare fin da piccoli e certamente la scuola dovrebbe (potrebbe) fare la sua parte: se da adolescenti iniziamo a vivere il feedback come giudizio, ci porteremo questo bias per tutto il resto della vita. Anche lavorativa: per i manager, per esempio, sarà difficile esprimere una valutazione con naturalezza e per i membri del team sarà ancora più complicato interpretare il messaggio come un feedback e non come una sentenza. I tool digitali aiutano, ma senza una nuova cultura rischiano di replicare un modello analogico che non funziona. In questa situazione, il rischio è quello di avere una futura classe dirigente non abituata alla valutazione, con tutte le conseguenze che ne derivano. Non possiamo certo prendercela con i giovani. La scuola promuove da sempre lo stesso modello formativo, salvo rare eccezioni, di insegnamento in cui gli studenti hanno un ruolo per lo più passivo. Diciamo che questa pandemia ci impone una nuova ‘normalità’. Non pensavamo che fosse quella del “6 politico” per tutti.
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