Dove vai se le competenze non le hai?
Sempre più spesso le aziende lamentano mancanza di personale qualificato. Lo chiamano skill gap, ma il problema potrebbe portare un altro nome: skill mismatch. Si tratta di un fenomeno per cui, complice la velocità di aggiornamento delle tecnologie, le competenze dei lavoratori non risultano più idonee per proseguire la propria attività. Nel mondo, infatti, ci […]

Sempre più spesso le aziende lamentano mancanza di personale qualificato. Lo chiamano skill gap, ma il problema potrebbe portare un altro nome: skill mismatch. Si tratta di un fenomeno per cui, complice la velocità di aggiornamento delle tecnologie, le competenze dei lavoratori non risultano più idonee per proseguire la propria attività. Nel mondo, infatti, ci sono più di 1,3 miliardi di persone le cui competenze non sono idonee a svolgere le attività che vengono loro richieste. In particolare, nei Paesi Ocse le stime sono di un lavoratore su tre.
È quanto emerge da Alleviating the heavy toll of the global skills mismatch, lo studio condotto dall’azienda di consulenza strategica Boston Consulting Group (BCG), che ha esaminato lo skill mismatch. Dall’analisi emerge che nel 2018 il fenomeno in esame ha prodotto un mancato Pil pari al 6% e che per il 2020 la perdita sale al 10%. Per riuscire a valutare il problema, provando a correre ai ripari, la stessa BCG ha progettato Future skill architect (Fsa), un tool in grado di misurare l’indice di maturità di un Paese e proporre soluzioni plug and play.
Fsa è in grado di analizzare capacità, motivazioni e opportunità per sette diverse categorie: skill di base; progetti di aggiornamento professionale; autorealizzazione dei lavoratori; analisi dei dipendenti basate sui bisogni; abilità e talenti del personale; accessibilità delle offerte di lavoro; apertura all’inclusività.
Italia dietro a Cile e Malesia nel ranking
In un mondo già definito Vuca, l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha stravolto ancor più profondamente l’ambito lavorativo, creando, come ormai noto, una new way of work volta al digitale. Questa accelerazione forzata verso il 4.0 ha influito molto sullo skill mismatch, che ha subìto una forte impennata. In Italia, per esempio, prima della pandemia solo il 23% dei lavoratori usufruiva del lavoro da remoto (rispetto al 40% della media mondiale), dunque questa transizione ha accentuato il fenomeno dovuto alla mancanza di formazione e aggiornamento professionali. Il nostro Paese è stato classificato al 34esimo posto (su 75) nell’indice Fsa, con uno skill mismatch del 38,2%, superiore a quello di Cile e Malesia, che coinvolge circa 10 milioni di lavoratori. Competenze mancanti, dunque, o ‘superate’. Rispetto alla media, infatti, l’Italia risulta in forte ritardo sulla capacità della scuola di sviluppare pensiero critico (43% contro il 50% dei Paesi ‘guida’) e sul fronte formazione e impiegabilità continua, dove la frequentazione di corsi Mooc risulta la metà rispetto a quella degli Stati al vertice della classifica. Poco inferiore rispetto alla media è invece valutata l’azione del Governo volta allo sviluppo di nuove competenze; mentre la lifelong employability e la skill liquidity risultano addirittura superiori alla media (rispettivamente 52 punti percentuali contro 43 e 62% su 50%). Si rivela dunque fondamentale sanare il gap che, con la digitalizzazione sarà sempre maggiore. Il perdurare del fenomeno di skill mismatch, infatti, impatta notevolmente, come emerso dalle analisi illustrate, sul Pil. Per ottenere un beneficio, a livello economico, ma anche personale (dei lavoratori), è utile gestire la situazione in modo veloce ed efficace. Proprio come veloce ed efficace è il cambiamento che ci travolge ogni giorno.Categoria: Risorse Umane, Formazione e sviluppo

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