Senza inclusione non c’è futuro per l’automazione
Nel prossimo decennio, negli Stati Uniti, circa 1 milione di adolescenti con Disturbi dello spettro autistico entrerà nell’età adulta, ma quasi la metà dei 25enni con autismo non ha mai avuto un lavoro retribuito. A denunciarlo è stata l’associazione no profit Autism speaks. In totale, si stima che l’85% delle persone con autismo sia disoccupato: […]

Nel prossimo decennio, negli Stati Uniti, circa 1 milione di adolescenti con Disturbi dello spettro autistico entrerà nell’età adulta, ma quasi la metà dei 25enni con autismo non ha mai avuto un lavoro retribuito. A denunciarlo è stata l’associazione no profit Autism speaks. In totale, si stima che l’85% delle persone con autismo sia disoccupato: è un tasso che supera quello delle persone con difficoltà di apprendimento, disabilità intellettive o disturbi del linguaggio. Secondo David Friedman, fondatore e CEO dell’azienda attiva nel digitale Autonomy works, le persone autistiche – e con esse le aziende – potrebbero trovare nell’automazione e nella robotica preziosi alleati per ribaltare la situazione ed esprimere al meglio i loro talenti.
L’azienda di Friedman impiega persone con autismo per fornire servizi aziendali come l’elaborazione di transazioni, le operazioni di Quality assurance e la gestione dei dati per altre organizzazioni. Queste attività ripetitive e di elaborazione possono aiutare alcune persone a incanalare, per esempio, l’attenzione per i dettagli in modo produttivo. Padre di un ragazzo autistico, Friedman ha raccontato a Benefit News come si sia reso conto che moltissime persone con autismo sono disoccupate; la maggior parte di coloro che sono impiegati lavorano in attività poco qualificate e non sono dunque messi nella posizione di poter attingere alle loro capacità.
Nuovi orizzonti grazie all’automazione
Friedman si è poi ricordato che nella sua carriera gli era già capitato infinite volte di assumere persone appena uscite dal college alle quali aveva affidato compiti ripetitivi e di elaborazione. Tempo sei mesi e nessuna di loro voleva più continuare a svolgere quelle mansioni. Pensando a suo figlio, ha notato che tutti gli aspetti per cui quei compiti erano respingenti – per esempio l’elevata attenzione ai dettagli, la ripetitività e quanto la mansione fosse strutturata – in realtà erano invece aree in cui le persone con autismo potevano eccellere. Attraverso una partnership con una società di software, Friedman ha iniziato a interessarsi di automazione e robot e ha avuto la sua Eureka: l’automazione toglie all’essere umano molti compiti, ma restituisce anche qualcosa. I robot hanno pur sempre bisogno di persone, a prescindere da tutto. E così nel novero dei talenti andrebbero coinvolte anche le persone affette da autismo. Fonte: Benefit News
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