Sopravvivere alle crisi diventando aziende imprevedibili
È un contesto di crescente incertezza quello che stiamo affrontando. Gli esperti l’hanno definito di “permacrisi”, cioè di crisi senza fine. D’altra parte gli esempi sono numerosi: covid, crisi energetica, discontinuità nelle catene del valore, tensioni geopolitiche, dazi protezionistici… Come possono affrontare questo scenario le aziende? Ci sono imprese che si sono fermate a osservare e hanno scelto l’immobilismo nella speranza di un ritorno alla normalità. Ma ormai dovrebbe essere chiaro che la realtà nella quale viviamo – caratterizzata appunto dalle crisi – è diventata il new normal. E dunque, è necessario raggiungere questa consapevolezza e agire di conseguenza.
“Le aziende devono crearsi una posizione solida in questo contesto sempre più complicato”, è stato l’invito di Vincenzo Natile, Partner di EIM Italia, con cui ha aperto il workshop promosso dalla società specializzata nel supporto per la gestione del cambiamento e dei processi di trasformazione, dal titolo “Reagire all’incertezza: strategie aziendali tra comprensione del contesto (capire), velocità decisionale (decidere) e flessibilità operativa (agire)”. Tra gli ospiti dell’iniziativa – alla quale Parole di Management è stata invitata a partecipare in via esclusiva, insieme con numerosi clienti di EIM – si sono confrontati: Alberto Gennarini (Vitale & Co), Riccardo Garrè (Impresa Pizzarotti & C.), Lucia Morselli (Pininfarina) e Matteo Suma (ABB).
Adattare la strategia al contesto di crisi
Per comprendere quali siano gli atteggiamenti delle aziende italiane di fronte a questo scenario di permacrisi, negli scorsi mesi EIM ha aperto un sondaggio all’interno della propria community i cui risultati sono stati presentati all’inizio dell’incontro (i due terzi del campione sono stati rappresentati dalla Manifattura, con il 57% delle imprese con un fatturato inferiore a 100 milioni di euro, e i rispondenti sono stati per l’80% imprenditori e CEO).
Dalle risposte è emerso che il 60% delle aziende ha rivisto il proprio piano strategico negli ultimi 12 mesi, ma addirittura il 23% non ha rimesso mano alla strategia (tra le ipotetiche motivazioni di questo atteggiamento, è emersa la difficoltà di affrontare il cambiamento). Laddove un cambiamento c’è stato, in particolare, si è trattato della flessibilità organizzativa, seguita dalla spinta all’internazionalizzazione, alla digitalizzazione, alle alleanze strategiche, all’innovazione di prodotto, alla revisione della Supply chain (il 45% del campione non ha fatto alcun cambiamento) e alla formazione del capitale umano (il 56% ha attuato una riduzione o una riorganizzazione dell’assetto organizzativo).
Tra le soluzioni proposte per navigare l’incertezza, è emersa la comprensione in tempo reale dei mercati e la capacità di leggere i segnali deboli per comprendere i reali movimenti dei clienti e dei consumatori. Dalla ricerca EIM è emerso che il 62% delle aziende coinvolte utilizza i dati per le analisi, ma spesso facendo affidamento alle reti informali, ai clienti e ai partner. Più complessa, invece, l’integrazione dei dati tra funzioni come Operations, Vendite e Marketing: il 41% del campione lo fa, ma solo “parzialmente”, e appena il 21% ha ammesso di aver strutturato il processo. Rispetto all’adozione di modelli di business più flessibili e resilienti – strategia ipotizzata per concretizzare la flessibilità operativa – il campione ritiene di avere una struttura organizzativa che risponde a questa caratteristica (70%).
Anticipare gli eventi piuttosto che reagire
Come già detto, il periodo storico è caratterizzato dalle crisi (che per la verità ci sono sempre state), ma c’è chi questo aspetto lo considera un’occasione, perché rende il momento ricco di opportunità trovandosi al di fuori delle ‘regole’ definite. È quindi importante saper accettare il ‘non prevedibile’ che, di conseguenza, richiede schemi non predefiniti per essere affrontato.
Per farlo c’è chi ha suggerito di imparare a leggere il mercato in un’ottica diversa da quella finora usata e in modo differente da come le aziende hanno imparato a fare dalle esperienze passate. Di certo l’attività di Risk management è considerata una buona pratica per pianificare una risposta strutturata alle inevitabili crisi, ma più che reagire serve anticipare gli scossoni del mercato.
A complicare il quadro c’è poi la tendenza, ormai trentennale, della finanziarizzazione dell’industria, che oggi vale il 50% del mercato, tanto che i settori più attenzionati sono solo quelli in crescita e che offrono un’ampia marginalità, a discapito degli altri che avrebbero bisogno di investimenti a medio-lungo termine per generare valore. Non a caso EIM è solita suggerire questo adagio: “Gestisci l’azienda come se non la dovessi mai vendere”.
Cosa serve oggi? Organizzazioni aperte e leggere
Cambiare il modello organizzativo può essere una soluzione per affrontare le crisi. In particolare, la proposta emersa dal confronto va nella direzione delle organizzazioni aperte, non solo nei confronti dei clienti e dei fornitori – in teoria già parte del network dell’azienda – ma di tutto l’ecosistema esterno, con ‘sensori’ (non solo tecnologici, ma anche umani) in grado di ‘catturare’ le informazioni. Inoltre, sono necessarie strutture organizzative leggere, con capi al vertice che devono ‘cedere’ parte del loro potere, abbandonando gli assetti burocratici che frenano le iniziative: lo schema top-down deve lasciare spazio a quello bottom-up, perché sono le figure più operative quelle che possono recepire i segnali più deboli. Davanti all’imprevedibile le aziende devono essere… imprevedibili, è stato l’invito dei relatori durante il dibattito.
A proposito di ascolto, il suggerimento è di capire come agiscono i competitor e impostare una strategia per raccogliere i dati, adeguando il business model di conseguenza. Successivamente, è poi fondamentale agire rispetto alla velocità di esecuzione e quindi rendere rapido il processo decisionale. Come? Per esempio, insegnando al management che sbagliare è normale e se il sistema di decisioni è veloce c’è tutto il tempo peri fare le opportune correzioni. “Gioca male, ma fallo velocemente” è stato l’invito proposto.
Tra i limiti c’è però l’atteggiamento di alcuni imprenditori – soprattutto delle Piccole e medie imprese (PMI) – che si circondano di persone senza le opportune competenze per fare da contraltare al capo azienda, se non etichettabili come ‘yes men’. Ecco perché, proprio in questo periodo turbolento, servono manager competenti con cui confrontarsi, non solo nei momenti di crisi. La ricetta ideale, dunque, è quella di affiancare agli imprenditori illuminati dei bravi manager. C’è quindi ancora bisogno di questi ultimi, anche se c’è chi predica che debbano assumere un atteggiamento più imprenditoriale. Sarà la stagione dei manager-imprenditori? La discussione rimane aperta.
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