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mercoledì, 17 Settembre, 2025

Il terreno della vera sostenibilità

Resilienza, digitalizzazione, sosteni­bilità. Parole inflazionate e, dunque, abusate, ma strettamente legate fra loro: in quest’era segnata dalla comples­sità e dall’incertezza, nessuna impresa può es­sere sostenibile se non avvia la propria trasfor­mazione digitale e se non è capace di mostrare resilienza davanti ai capricci del mercato e ai col­pi bassi degli imprevisti e degli improvvisi cam­biamenti […]
19 Maggio 2023
Di: Francesco D. Perillo
19 Maggio 2023
Vera sostenibilità
Resilienza, digitalizzazione, sosteni­bilità. Parole inflazionate e, dunque, abusate, ma strettamente legate fra loro: in quest’era segnata dalla comples­sità e dall’incertezza, nessuna impresa può es­sere sostenibile se non avvia la propria trasfor­mazione digitale e se non è capace di mostrare resilienza davanti ai capricci del mercato e ai col­pi bassi degli imprevisti e degli improvvisi cam­biamenti di scenario. Ma “sostenibilità” è parola così estesa da non potersi racchiudere in una de­finizione, perché tutto determina la sostenibilità: non può limitarsi al prodotto, all’uso delle risorse, al rispetto dell’equilibrio ecologico del Pianeta. Essere impresa sostenibile significa generare valore oltre il presente, comportando una scelta a tal punto radicale e impegnativa da rovesciare le attuali logiche aziendali: abbandonare la logi­ca del breve periodo, quella della soddisfazio­ne delle aspettative finanziarie trimestrali degli azionisti, per abbracciare invece quella del lungo periodo, della soddisfazione di tutti gli stakehol­der, oltre l’azionista: clienti, dipendenti, fornitori, territorio, cui si aggiunge lo stakeholder Terra, il più importante. Allora un punto diventa chiaro: non puoi essere sostenibile se ti limiti al prodotto e non applichi il modello in tutti i tuoi processi, cioè al modo in cui fai le cose e, dunque, sei. Gli indicatori Environ­ment, Social, Governance (ESG) appaiono sbiaditi e incapienti se non li inseriamo nel quadro di una gestione totale della sostenibilità: Total sosteni­bility management (TSM), potremmo definirla, associandola ai princìpi del Total quality manage­ment che già dovrebbero essere nel Dna di ogni azienda che si rispetti. Che vuol dire tutto ciò? Semplicemente che è tutta la catena del valore a essere coinvolta lun­go il ciclo di vita del nostro prodotto: da come acquisiamo un cliente, a come lo coinvolgiamo nell’esecuzione (gli diciamo come stanno le cose in ogni fase di avanzamento dell’ordine?), a come progettiamo un prodotto che deve nascere già sostenibile, a come acquisiamo le forniture (da aziende a loro volta sostenibili?), a come ammini­striamo il conto economico (a quale tipo di ban­che ci rivolgiamo?), a come rendiamo sostenibili la logistica e la manutenzione (a chi affidiamo la distribuzione dei nostri prodotti?), fino ad inclu­dere la gestione delle risorse umane. La domanda allora diventa: cosa intendiamo per “risorse umane sostenibili”? E qui fioccano interrogativi che pesano come ma­cigni sulla cultura d’impresa. Innanzitutto, ci chie­diamo se possano essere considerate sostenibili risorse umane che, al pari di ogni altra commodi­ty, si usano per il tempo che servono e nei modi più fluidi, pronti a disfarsene non appena lo spet­tro della crisi si affaccia in azienda. Troveremo mai una risposta alla domanda di come si concilia il valore del lavoro e l’esaltazione dei talenti umani con la gestione ossessiva dei costi e la riduzione dell’occupazione indotta dalle nuove tecnologie? Un’indicazione importante arriva dallo psicolo­go Pietro Trabucchi: “Dobbiamo farci carico della nostra motivazione” e alla stregua dei giardinieri, cercare di “creare un ambiente favorevole a quel­la degli altri”. L’impresa sostenibile richiede ne­cessariamente di creare e coltivare un contesto favorevole allo sviluppo della motivazione, senza il quale le persone sono destinate a non investire nella propria crescita personale e professionale, a non mantenere la epropria capacità di aggior­narsi e di tenere il passo del cambiamento, a non perseverare nella propria determinazione anche in assenza di ricompense o in presenza di avver­sità come il rischio di perdita del posto di lavoro. Nell’ambito dei parametri ESG l’indicatore “G” ap­pare determinante per un’effettiva valutazione di sostenibilità: deve misurare se la Governance è basata sulla trasparenza dei criteri di promozione e di retribuzione del personale, senza dei quali il “terreno del giardiniere” non può produrre frutti; è quello cui è affidata la misura di quanto la cultu­ra dell’apprendimento dall’errore effettivamente prevalga su quella della colpa, e di quanto l’a­zienda applichi al fattore umano la stessa atten­zione riservata al prodotto. Non c’è dubbio che la direzione indicata dalla sostenibilità apra nuovi scenari non solo nelle scelte produttive, nella selezione delle materie prime, nella progettazione di processi compatibi­li con il rispetto del Pianeta, ma necessariamente anche negli stili gestionali, nell’etica d’impresa, nel suo sistema di valori. Saranno i consumatori finali gli arbitri di queste sfide: consumatori temperati dalla consapevolez­za dei cambiamenti climatici e dell’uso delle ri­sorse, divenuti più esigenti e sensibili all’integrità e all’etica dell’azienda, all’uso che effettivamente fa di risorse (umane e non) e tecnologia. Perché tutto questo è dentro il prodotto che essi acquisteranno e, a differenza della felicità, sarà ben visibile agli occhi.
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