L’AI Gen non è ChatGPT
La rivoluzione digitale è un processo sempre più rapido, sempre più disruptive. Se già da alcuni anni si parlava di Advanced Analytics e Machine Learning, solo con le chatbots la presenza dell’Intelligenza Artificiale (AI) è diventata pervasiva. Questa sua diffusione – quasi una tendenza – non deve però offuscare le aziende nel comprendere i loro […]

La rivoluzione digitale è un processo sempre più rapido, sempre più disruptive. Se già da alcuni anni si parlava di Advanced Analytics e Machine Learning, solo con le chatbots la presenza dell’Intelligenza Artificiale (AI) è diventata pervasiva. Questa sua diffusione – quasi una tendenza – non deve però offuscare le aziende nel comprendere i loro reali bisogni. È questo il punto di vista di Giorgio Dossena, PreSales Manager di Qlik, azienda nel mercato dell’analisi dati. “Non tutto ciò che facciamo oggi con l’AI deve essere esclusivamente generativo. È importante anche ricordare gli investimenti e gli sforzi fatti negli anni passati”, spiega Dossena.
Di fronte alla volontà da parte delle aziende di adottare l’AI, è fondamentale, infatti, avere chiaro quali siano le reali necessità del progetto, se serva realmente l’AI Gen oppure altri strumenti. “Non basta volere semplicemente una chatbot, ma è necessario comprendere quali siano le vere esigenze aziendali. Per esempio, molte aziende hanno difficoltà a comprendere quanto l’AI Gen sia realmente applicabile alla loro realtà”, spiega Dossena. Il rischio maggiore è che molte aziende confondano l’AI con ChatGPT, senza considerare le sue basi più tradizionali.
Per affrontare questa sfida, serve la tecnologia, ma anche le risorse umane, processi ben definiti, senza dimenticare etica, compliance e un governo adeguato dei dati. “Un esempio chiaro di quando non si tengono in considerazione questi aspetti sono le allucinazioni dei modelli generativi, che possono portare a risposte sbagliate o inaffidabili. Questo fenomeno è migliorato nel tempo, ma non è completamente eliminato. Altra questione è la sicurezza dei dati: dove finiscono i dati usati per addestrare i modelli e come vengono conservati? Queste domande vanno affrontate prima di avviare un progetto, altrimenti il rischio è di fallire, anche con buone intenzioni”, analizza Dossena.
È fondamentale il ruolo del Change Management
Per ottenere risultati, è necessario definire il caso d’uso, identificare le figure chiave e coinvolgere diversi ruoli, cioè l’IT, il business, il legale e la sicurezza informatica. In questo percorso, il Change Management è cruciale, perché non si tratta di sostituire le persone con i robot, ma di cambiare il modo di lavorare, rendendo alcune attività più semplici e focalizzandosi su quelle di maggior valore. Non sempre, però, questi progetti sono facilmente implementabili, specialmente per le Piccole e Medie Imprese (PMI), che spesso hanno difficoltà di risorse e mezzi rispetto alle grandi realtà. In realtà, ciò che la tecnologia dovrebbe fare è proprio colmare i gap presenti all’interno delle organizzazioni. “Questi strumenti devono essere accessibili e non richiedere necessariamente la scrittura di codice: per esempio, grazie al linguaggio naturale, si possono tradurre le esigenze di business in output utili per l’IT”. Non dobbiamo, però, pensare che anche una grande azienda abbia necessariamente tutte le figure necessarie a disposizione. Se si tratta di un’azienda manifatturiera, è probabile che abbia molte risorse nella produzione, ma non è detto che il reparto IT sia altrettanto sviluppato. Allo stesso modo, in un’azienda di servizi potremmo trovare più persone con competenze legali o commerciali, ma meno figure esperte in ambito IT. “In questo, il ruolo del partner è cruciale: non si tratta solo di fornire tecnologia, ma di declinarla in base alle necessità specifiche del settore”. Il ruolo del partner è mostrare anche che le tempistiche devono essere realistiche: non è possibile rivoluzionare i processi aziendali in poco tempo. L’AI Gen rappresenta una rivoluzione, quindi, non tanto per le sue capacità di sostituire l’intelletto umano, ma per il supporto che offre. Non si tratta solo di chatbot, ma di strumenti in grado di accelerare attività creative e operative. Per esempio, un AI può generare un’immagine o un testo a partire da un’idea, ma il valore rimane nell’intuizione originale dell’uomo. Altrimenti il rischio è confondere il risultato finale con il processo creativo. “La tecnologia non riduce il valore del pensiero umano, ma ne potenzia la realizzazione”, conclude Dossena.Categoria: Fabbrica, Tecnologia per la produzione

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