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giovedì, 18 Settembre, 2025

Negoziare il confine tra lavoro e vita privata

Nel 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha classificato il burnout come un fenomeno professionale derivante dallo stress cronico sul posto di lavoro. Molte persone sono rimaste sorprese, ma chi per anni ha studiato e analizzato il problema è rimasto che finalmente questa espressione avesse trovato la sua definizione più efficace. Da allora, però, il fenomeno è […]
1 Dicembre 2021
Di: Erica Manniello
1 Dicembre 2021
Work-life balance

Nel 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha classificato il burnout come un fenomeno professionale derivante dallo stress cronico sul posto di lavoro. Molte persone sono rimaste sorprese, ma chi per anni ha studiato e analizzato il problema è rimasto che finalmente questa espressione avesse trovato la sua definizione più efficace. Da allora, però, il fenomeno è solo peggiorato.

Un recente studio del centro di ricerca Workforce Institute della multinazionale di tecnologia statunitense Ukg ha rilevato che il 43% dei dipendenti intervistati era preoccupato per un eventuale burnout. Quasi i due terzi dei collaboratori e dei leader aziendali (59%) hanno anche dichiarato che l’azienda presso la quale lavorano ha adottato misure per proteggere le persone da questo rischio nel 2020. Anche una ricerca pubblicata da LinkedIn ha riscontrato un aumento del 33% del rischio di burnout nel 2021.

Dal punto di vista di Chris Mullen, Direttore Esecutivo del Workforce Institute di Ukg, questo è dovuto a diversi fattori che vanno dal disimpegno della politica alle ingiustizie sociali di lunga data e, da ultimo, agli effetti della pandemia, che ha costretto le persone a ripensare a quasi ogni aspetto della vita, compreso il ridimensionamento dei sistemi di sostegno della famiglia allargata. Che ci sia un problema con l’equilibrio tra lavoro e vita privata ormai è sotto gli occhi di tutti e, secondo Mullen, che ha affidato le sue riflessioni al magazine Forbes, alla base del problema c’è il tema della negoziazione tra lavoro e vita privata.

Dare spazio anche alle attività personali

C’è stato un tempo in cui si lavorava durante il giorno e al di fuori delle tipiche cinque-nove ore ci si dedicava ad altre attività (che si trattasse della propria famiglia, di trascorrere del tempo con gli amici o di godersi i propri hobby e le proprie passioni). Era grossomodo di una relazione statica che rendeva più semplice trovare un equilibrio. La proliferazione dei dispositivi mobili negli Anni 2000 ha completamente sconvolto questo modello. Improvvisamente clienti, colleghi e responsabili potevano chiamare e inviare email e messaggi a tutte le ore del giorno (e della notte). La staticità era diventata dinamicità, con uno squilibrio di potere sbilanciato a favore del datore di lavoro.

Per Mullen la negoziazione è quell’approccio per il quale alcuni giorni siamo in grado di dare un po’ di più al lavoro nella speranza che, il più delle volte, stiamo dando di più a noi stessi. È difficile prevedere quando le esigenze del lavoro sono destinate a ostacolare il nostro tempo personale e questa imprevedibilità è una delle ragioni per cui l’equilibrio può essere così difficile da raggiungere. Una sera potrei aver bisogno di lavorare fino a tardi, ma nell’ottica della negoziazione so che potrei prendermi del tempo per me il giorno successivo o la prossima settimana o il mese prossimo.

Ciò che rimane non detto è che perché questa modalità organizzativa funzioni davvero l’azienda deve abbracciare il concetto di negoziazione vita-lavoro anche quando vantaggi e svantaggi si invertono a favore del collaboratore. Deve cioè essere disposta a consentire alle persone di occuparsi delle attività personali durante l’orario di lavoro esattamente nello stesso modo in cui si aspetta che esse si occupino delle questioni lavorative durante il tempo libero.

Strategie anche per i lavori non remotizzabili

Ma come si applica in concreto questa negoziazione? Per le persone che hanno la possibilità di lavorare da remoto si concretizza smettendo di pensare in termini di quantità di lavoro e concentrandoci invece sul risultato. Per Mullen si tratta di dare valore ai collaboratori in base alle loro capacità di aiutare l’organizzazione a raggiungere gli obiettivi. Se poi non fossero raggiunti sarebbe opportuno da parte dell’azienda fare gli investimenti necessari su di loro, non solo come professionisti, ma come persone.

Ma anche per chi lavora in presenza, che si tratti di infermieri con una specializzazione clinica, di operatori di uno stabilimento di produzione o di chiunque ricopra un’ampia varietà di ruoli non ‘remotizzabili’, si potrebbe pensare di ragionare per obiettivi, considerando per esempio una deadline di due giorni anche sul posto di lavoro. Anche la possibilità di utilizzare la tecnologia perché le persone possano scegliere i loro orari e scambiarsi turni agilmente andrebbe sfruttata.

Il mondo del lavoro è alle soglie di una nuova era e un buon modo, seguendo il ragionamento di Mullen, per approfittarne sarebbe abbandonare la nozione di equilibrio tra lavoro e vita privata e concentrarsi invece sul consentire a tutti di negoziare le esigenze del proprio lavoro e della propria vita, al fine di avvicinarsi all’esistenza più appagante e soddisfacente possibile. Per i leader si tratta di essere disposti a rivedere il proprio ruolo per sbloccare un mondo di possibilità.

Fonte: Forbes

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