Smart working, è agile finché la politica non si mette al lavoro
Manca poco e lo Smart working per come lo abbiamo conosciuto in tempo di emergenza sanitaria è destinato a diventare un ricordo, per lasciare spazio al lavoro agile ideato e normato prima del lockdown per Covid-19. In realtà dal 15 ottobre 2020 si tornerà al ‘vero’ Smart working, o almeno a quello normato dall legge […]

Manca poco e lo Smart working per come lo abbiamo conosciuto in tempo di emergenza sanitaria è destinato a diventare un ricordo, per lasciare spazio al lavoro agile ideato e normato prima del lockdown per Covid-19. In realtà dal 15 ottobre 2020 si tornerà al ‘vero’ Smart working, o almeno a quello normato dall legge 81 del 2017, ben diverso dall’esperienza di Home-Remote working svolta durante il picco della pandemia e proseguita anche dopo l’estate. Ancora poche settimane, dunque, e per attivare il lavoro agile serviranno accordi tra azienda e lavoratore.
Ma prima che si torni a quanto in vigore prima del Covid, il Governo, con la Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, ha deciso di confrontarsi con le parti sociali per mettere mano alla legge sullo Smart working. I sindacati chiedono che ci siano regole a livello di accordi nazionali (uno dei punti di dibattito riguarda il diritto alla disconnessione); l’Esecutivo vorrebbe proporre che le regole siano scritte nella contrattazione aziendale o collettiva.
Come sempre accade, finché la questione riguardava qualche migliaio di lavoratori ci si è accontentati di una legge snella e in stile anglosassone – una cornice di indicazioni e ampie deleghe alle aziende per l’applicazione concreta – quando poi sono state coinvolte milioni di persone, allora i fari della politica si sono orientati sulla vicenda.
Si ragiona, dunque, sulla modifica della legge sullo Smart working (per la verità anche a livello di Unione europea), in particolare sulla questione della disconnessione. Secondo quanto si apprendere, tuttavia, la direzione delle modifiche va nella direzione opposta a quella del lavoro agile. Lo Smart working è prima di tutto una modalità di organizzazione del lavoro con l’obiettivo di incrementare la produttività; che poi agevoli il work-life balance è una conseguenza, secondo il facile sillogismo che dipendenti felici (e sereni) saranno di certo più incentivati a svolgere al meglio le attività lavorative.
Dunque, se il lavoro agile è uno strumento per aumentare la produttività, come può una legge pretendere di indicare la soluzione migliore per applicare lo Smart working a tutte le categorie aziendali e su tutto il territorio? Le sfide del Tessile sono ben diverse, solo per fare un esempio, da quelle del Pharma o della Grande distribuzione organizzata. E di certo un’azienda del Sud Italia avrà necessità differenti da quelle che deve affrontare un’impresa del Centro o del Nord del Paese.
Sta qui il motivo per cui lo Smart working, pur necessitando di regole, non deve essere imbrigliato in norme troppo stringenti. Finora tutti gli esperti della materia con cui Parole di Management si è confrontato – l’ultimo è stato Aldo Bottini, Presidente dell’Associazione giuslavoristi – sono stati tutti d’accordo: la legge 81 del 2017 non va modificata. Certo, a tre anni di distanza e dopo il grande stress test del lockdown, un confronto è utile. Ma non per complicare le cose. Semmai, per semplificarle ancor di più.
Categoria: Organizzazione, Editoriale

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