Peppe_poeta

Il sommo Poeta (della leadership)

Quando si dice ‘l’occasione della vita’. ci si immagina sempre qualcosa che accade una sola volta, e che quando arriva ti colpisce. Fortissimo. Ti obbliga a decidere chi vuoi essere davvero. Peppe Poeta ha scelto di tornare a Milano. Lo fa dopo una stagione da protagonista assoluto a Brescia (la Leonessa è arrivata fino alle finali perdendo solo contro la Virtus Bologna), con la promessa (ormai pubblica) che tra una o due stagioni prenderà in mano la panchina dell’Olimpia. Sarà lui il nuovo volto della leadership tecnica di una delle squadre più blasonate d’Europa.

Ma la vera notizia non è solo il suo ritorno a Milano. È come ci è arrivato. Con uno stile tutto suo, con un approccio che potremmo definire ‘umano’ prima che sportivo. È dunque interessante restituire senso al suo percorso, di illuminare gli snodi invisibili che hanno portato un ex giocatore di squadra e uomo di spogliatoio a diventare un allenatore stimato non solo per i risultati, ma per il modo in cui quei risultati sono stati raggiunti. Ci sono persone che colpiscono anche senza alzare la voce. Senza dover dimostrare nulla. Poeta è così. E questa è la sua storia.

Il salto coraggioso come allenatore

Giugno 2024: dopo due anni passati come assistente sia a Milano sia in Nazionale, a Poeta arriva la proposta da Brescia per diventare head coach. È la prima, vera chiamata da capo allenatore. La risposta più naturale? Il dubbio. Tutti, ma proprio tutti, a sconsigliarlo: “È troppo presto”; “Meglio iniziare dal basso”; “Fai un altro giro da assistente”. Il classico consiglio prudente che ha il sapore della rinuncia mascherata dal buon senso.

E invece lui ha detto sì. Non per incoscienza. Non per ego. Ma perché, con grande lucidità, ha affermato una verità semplice e potente: “Se voglio fare l’allenatore, da qualche parte devo iniziare. Brescia mi vuole. Parto e provo”. Questa scelta, oggi, appare vincente. Ma la verità è che lo era già in partenza. Perché nasceva dalla capacità di assumersi la responsabilità del proprio percorso. Dal coraggio di ascoltarsi. E dalla fiducia di chi sa che per imparare, devi prima metterti in gioco.

La leadership che resta fedele a sé

Qualche settimana dopo aver accettato l’incarico, Poeta pianifica l’estate. Qualcuno gli chiede di farsi vedere in sede a Brescia, di ‘presidiare’ con più presenza fisica. La risposta non è un rifiuto, ma una visione: “Il mio lavoro di costruzione della squadra lo posso fare ovunque. Meglio se in un posto emotivamente favorevole: al mare, con la mia compagna, con gli amici. Perché è da lì che parte il mio modo di essere allenatore”.

Restare fedeli a se stessi, anche quando si cambia ruolo, contesto, responsabilità. Questa è la sua cifra stilistica. Non quella del tecnico rigido che controlla tutto. Ma quella di chi ha capito che il vero impatto lo generi quando sei credibile. Quando il messaggio che porti è coerente con la persona che sei.

Dal primo allenamento a Brescia, il suo approccio è stato chiaro: non alleno da solo, alleniamo insieme. E non è una frase fatta. Chiunque abbia vissuto lo spogliatoio di quella stagione lo conferma: lo staff tecnico era una ‘squadra nella squadra’. Ognuno aveva un ruolo, una voce, una responsabilità. Nessuno si sentiva comprimario, nessuno invisibile. C’era sinergia, c’era complicità, c’era – soprattutto – fiducia.

Poeta è sempre stato questo tipo di leader. Uno che crede nella forza del gruppo prima ancora che nel talento del singolo. A bordo campo, non urlava comandi. Batteva le mani. Incoraggia. Ha portato in panchina lo stesso spirito con cui era in campo: connesso, presente, generoso. E non era solo questione di stile. Era una strategia consapevole. La squadra ha risposto, si è sentita parte attiva di ogni scelta, di ogni successo, anche di ogni errore. I momenti difficili – e ce ne sono stati – non sono mai diventati crisi. Perché un team che si riconosce se regge anche quando barcolla.

In un tempo in cui l’autorità spesso si confonde con l’arroganza, Poeta ha dimostrato che si può guidare senza prevaricare. Si può essere leader senza bisogno di imporsi. E questo, più che una dote tecnica, è un segno raro di maturità.

Il valore della presenza

Nello sport, come nella vita e nel business, puoi anche essere tecnicamente impeccabile. Ma se non sai stare in mezzo agli altri, prima o poi, il gioco ti isola. Poeta, invece, ha sempre saputo esserci. Anche fuori dal campo. Anche quando non serviva. Anzi, proprio lì ha fatto la differenza. Mentre altri allenatori scelgono la via del silenzio per proteggersi, per non esporsi, per paura di un confronto o di una critica pubblica, lui ha continuato ad alimentare le relazioni. Con il sorriso, con il garbo, con la naturalezza di chi non ha bisogno di nascondersi dietro il ruolo.

Ogni evento cestistico, ogni occasione pubblica, ogni momento d’incontro con il mondo del basket è diventato per lui un’opportunità per connettersi. Non per apparire, ma per appartenere. Che poi è la differenza tra chi vuole farsi vedere e chi vuole far parte. Non si è mai sottratto alla parola di un giornalista, al confronto con un tifoso, allo sguardo di chi – magari – aveva un dubbio o una critica. E questo non è solo stile, è leadership.

Perché chi ha davvero a cuore il proprio contesto non lo evita nei momenti scomodi. Ci mette la faccia. Con rispetto, ma senza filtri. Con empatia, ma senza compiacere. Una lezione preziosa per manager e imprenditori: il capitale relazionale non si costruisce dietro una scrivania. Si coltiva nel tempo, con presenza, ascolto e autenticità.

Poi c’è un dettaglio che in pochi notano, ma che fa tutta la differenza: si ricorda di te. Si ricorda cosa gli hai detto in quella serata, corridoio, in quella chiacchierata al telefono. Si ricorda dei nomi, delle storie, dei dettagli. È il segno che le sue relazioni non sono strategiche. Sono umane. E per questo, efficaci.

L’importanza dell’ascolto (vero)

C’è una parola che, più di tutte, racconta il modo in cui l’ex allenatore di Brescia vive il suo mestiere: curiosità. Una curiosità viva, pratica, concreta. Quella che nasce dal desiderio di capire meglio le persone, non solo i giochi. Di leggere una dinamica emotiva prima di una difesa a zona. Di domandarsi non solo: “Che schema usiamo?”. Ma: “Come stanno oggi i miei giocatori, dentro?”.

Non ha mai smesso di studiare. Ma il suo studio è diverso. Parte sempre dalla realtà. Parte da una domanda vera. Da una difficoltà incontrata sul campo. Da un dubbio aperto condiviso, magari con un collega, un mentore o un giocatore stesso. E da lì si muove. Legge, si confronta, si aggiorna. Quando si parla con lui di apprendimento, non si cita mai una ‘teoria’. Si cita un momento. Un passaggio. Un episodio. Perché il suo approccio è umanamente didattico. È il contrario della rigidità.

Ricordo una conversazione in cui si ragionava su come un team possa attraversare le fasi emotive di una stagione lunga e complessa. Lui, con semplicità e precisione, ha descritto come gestiva la curva energetica della sua squadra. Non con frasi fatte, ma con piccoli accorgimenti costruiti su ascolto, ritmo e presenza. E, in quei passaggi, c’erano gli stessi concetti che si trovano nei manuali di leadership o nelle ricerche sui gruppi ad alte prestazioni. Non perché li avesse letti, (o forse sì, ma non ne sono sicuro), ma perché li aveva vissuti.

È qui che diventa un caso quasi raro nel panorama attuale: un coach capace di integrare i modelli moderni senza perdere la sua autenticità. Che parla di intelligenza emotiva mentre commenta un allenamento. Che usa i principi dell’apprendimento esperienziale senza mai chiamarli così. Ma che intanto li applica, giorno dopo giorno, con coerenza e risultati. Ed è proprio questa capacità di unire studio e campo, lettura e azione, che oggi lo ha reso pronto a tornare a Milano con un bagaglio non solo tecnico, ma anche culturale. Un bagaglio che parla di aggiornamento continuo, ma anche di fedeltà ai propri valori.

I valori dal campo, per il campo

Alla fine, tutto torna lì: a come sei quando nessuno ti guarda. Poeta ha sempre portato in campo – e fuori – lo stesso stile: testa alta, sorriso pronto e squadra al centro. Non è mai stato uno di quelli che alzano la voce per affermare autorità. La sua autorevolezza non nasce dal tono, ma dalla coerenza. Dall’essere ogni giorno, in ogni gesto, esattamente ciò che predica. Chi ha giocato con lui – e oggi lavora con lui – lo sa bene: il suo modo esserci è contagioso. È quell’atteggiamento che trasforma un allenamento in un’occasione per stare meglio, per crescere, per creare connessione.

Non è un caso se tanti giocatori lo seguono, se tanti colleghi lo stimano, se tanti dirigenti si fidano. Perché è una presenza che unisce, non che divide. Non accentra, coinvolge. Non si impone, si propone. Ha interiorizzato un principio semplice e potente: l’allenatore non è colui che dà tutte le risposte, ma colui che crea lo spazio perché emergano le risorse del gruppo. E quando il contesto si fa difficile – come spesso accade in una stagione sportiva o nella vita di un’azienda – Poeta non vede mai il problema. Vede una possibilità di miglioramento.

Questo modo di pensare, di agire e di reagire, ha radici profonde. È lo stesso che aveva da giocatore. Ma oggi ha una consapevolezza in più: la responsabilità di trasmetterlo agli altri.
Per questo la sua presenza in spogliatoio – come in ogni team – lascia il segno: non solo per le indicazioni tattiche, ma per la cultura che porta. Una cultura fatta di relazioni sincere, di umiltà operosa, di coraggio quotidiano.

Il coraggio di non cambiare per le mode

Se oggi Poeta ha deciso di tornare a Milano da leader riconosciuto, non è solo per i risultati ottenuti. Ma per la persona che è diventato, rimanendo fedele a chi era. Ma il suo non è solo il ritorno in un luogo. È il compimento di un’idea. Di uno stile. Di una coerenza che ha saputo resistere a tutte le pressioni, i dubbi, i consigli non richiesti.

Chi lo conosce lo sa: Poeta non ‘colpisce’ mai con la voce. Colpisce con l’esempio. Con la calma di chi sa chi è. Con la lucidità di chi sa dove vuole andare. Con la forza gentile di chi guida senza dover trascinare. La sua storia è un promemoria per chi ogni giorno cerca di far bene il proprio lavoro senza snaturarsi. Per chi sceglie la sostanza all’apparenza. Per chi non aspetta di sentirsi ‘pronto’, ma si mette in gioco per diventarlo.

Non servono urla per allenare. Serve presenza. Serve fiducia. Serve verità. Che tu sia manager, allenatore, imprenditore o giovane in cerca della tua strada, il messaggio è chiaro: puoi arrivare lontano restando te stesso. Ma devi avere il coraggio di esserlo anche nei contesti che provano a cambiarti. Lui ha fatto esattamente questo: ha giocato da Peppe, ha allenato da Peppe e torna a Milano da Peppe.

In un mondo che spesso premia chi finge, questa autenticità è la qualità più rara – e forse la più necessaria – per chiunque voglia costruire qualcosa che duri. In un contesto organizzativo, ciò che emerge dal percorso di Poeta è la dimostrazione concreta che la leadership non coincide con il controllo, ma con l’influenza. Che l’autorità non si impone con il titolo, ma si conquista con la coerenza quotidiana. Ogni manager, ogni figura di guida, può trarre una lezione potente da questa storia: la performance sostenibile nasce dove le persone si sentono viste, ascoltate, responsabilizzate. Dove la cultura è più forte della procedura. Dove l’umano non è un ostacolo al risultato, ma il presupposto necessario per raggiungerlo.

Non serve essere ovunque. Serve esserci, davvero. Con i propri valori, con una visione chiara, con la capacità di costruire sistemi di lavoro e di valori che resistano anche senza la nostra presenza. Perché, come Poeta, i leader più efficaci sono quelli che lasciano qualcosa anche quando non parlano. Anche quando non fischiano. Anche quando escono dalla stanza.

leadership, basket, Peppe Poeta


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Marco Mordente

Performance Coach | Inspirational Speaker | Guest Expert

Vent’anni da giocatore di basket professionista giocando per grandi club e vestendo la maglia della nazionale, di cui sono stato il Capitano.

Da anni rielaboro e condivido la mia esperienza sportiva all’interno di organizzazioni aziendali, nelle scuole e nelle università come speaker ispirazionale.

Come Business Coach aiuto singoli e team in ambito aziendale a riconoscere e allenare i comportamenti funzionali per ottenere performance migliori.


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