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La tua cultura aziendale valorizza le persone?

La cultura aziendale e il modo di fare impresa sono un elemento chiave per creare un clima di condivisione, ma pure per raggiungere gli obiettivi e crescere. Da uno studio della società di ricerche di mercato indipendente Gallup dal titolo Designing your organization’s employee experience emerge che le persone oggi cercano un significato nel loro lavoro, un ambiente collaborativo e manager che possano adattarsi a uno stile di vita ‘innovativo’, che rompe con i modelli tradizionali. A questo proposito, la maggior parte delle persone è convinta che una posizione che consente di avere un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata e un migliore benessere personale è “molto importante”; il 91% degli intervistati, invece, ha affermato che l’ultima volta che hanno cambiato lavoro è stato proprio per andare incontro a esigenze di equilibrio personale.

Di questi temi – ma non solo – ne ha parlato di recente pure Papa Francesco, durante il discorso rivolto agli imprenditori in occasione dell’assemblea annuale che si è tenuta il 12 settembre 2022 in Vaticano. Oltre alla questione culturale, il Pontefice ha affrontato altri temi cari alle aziende: il patto fiscale e le tasse come forma di condivisione dei beni, il gap salariale tra top manager e impiegati, la creazione di posti di lavoro – soprattutto per le nuove generazioni – il ruolo delle imprese per l’integrazione dei migranti, lo sfruttamento, la negligenza nella sicurezza, gli impedimenti nella carriera per le donne in gravidanza. “Gli imprenditori sono una componente essenziale per costruire il bene comune, un motore primario di sviluppo e di prosperità”, ha detto Papa Francesco.

Gli aspetti affrontati dalla Chiesa si legano in particolare alla cultura del lavoro e dipendono in larga misura dai valori in cui credono imprenditori e leader, i quali creano le fondamenta della struttura organizzativa e la direzione da prendere. Tali principi permeano l’intera organizzazione e compongono il quadro nel quale i collaboratori trovano il loro spazio per esprimersi.

Collaborazione, fiducia e iniziative per la comunità

Come racconta Fabio Invernizzi, Sales Director EMEA Sud e Responsabile del Business in Italia di Boomi, società di software per la connettività intelligente e l’automazione che è stata inserita nella classifica Best place to work del 2022: “Se dovessi riassumere la nostra mission direi che vogliamo che ognuno sia sé stesso. Per portare sul mercato il nostro prodotto è necessario fare leva sui talenti; per farlo devono sentirsi liberi di potersi esprimere e respirare un ambiente dove ci sono i principi validi”. Invernizzi, che puntualizza il fatto di sostenere il principio del Lead by example (riassume così l’espressione: “Sento miei questi valori e credo fortemente che si trasmettono ai collaboratori tramite l’esempio”), spiega come fiducia, trasparenza, empatia siano alla base della cultura aziendale: “È giusto parlare apertamente, per esempio, degli aspetti che non funzionano e anche porre domande che possono risultare scomode; un altro valore fondamentale, a mio avviso, è l’umiltà”.

Una cultura ‘del coraggio’ è ciò che contraddistingue Boomi perché “tutti noi sappiamo che possiamo migliorare e crescere”. È così che Invernizzi rivela i cinque core value della società di software: il primo è go beyond, ovvero andare oltre e “provare a fare quel passo in più che può fare la differenza”; poi, play for each other, che significa letteralmente “giocare per l’altro” e che si può riassumere nel concetto di collaborazione, di lavorare in team (“We win as one”, dice il manager); il terzo punto è create awesome things, cioè “creare cose fantastiche” e dare il meglio in ogni aspetto della vita aziendale; successivamente, c’è la ownership, (per Invernizzi: “Non c’è cooperazione senza possesso ed è per questo che, come individui, dobbiamo farci carico di affrontare le cose insieme”); infine, trust, dunque creare relazioni autentiche che possano ispirare integrità. “Questi pilastri sono interni, ma sono percepiti anche all’esterno; i clienti ci riconoscono in questo modo di comportarci”, chiarisce il manager.

Boomi è inoltre impegnata in ambito Corporate sociale responsibility (CSR): sono stati creati gli employee resource group, cioè comunità gestite dai dipendenti, focalizzate su temi di interesse: tra questi, ci sono, per esempio, quello relativo alle discipline Science, Technology, Engineering and Mathematics (Stem), uno dedicato ai lavoratori junior, uno sulla crescita e lo sviluppo, un altro relativo all’ambiente. “Ora ne abbiamo 14 e sono attività che rafforzano l’appartenenza e il giving back, ovvero il concetto di ‘restituire’; prima si era più concentrati sul singolo, ora emerge un senso di appartenenza. Forse la pandemia ci ha reso più consapevoli”, riflette Invernizzi.

Un altro programma è quello chiamato “Boomi for good”, che racchiude una serie di iniziative, come per esempio la creazione di strumenti di collaborazione utili per comunità no profit. “Ora, quando assumiamo, spesso riceviamo domande su che cosa fa l’azienda per il ritorno nei confronti del territorio e la comunità. Anche i clienti chiedono certificati sulle condizioni di lavoro e sul nostro impegno in ambito CSR quando valutano di lavorare con noi”, spiega Invernizzi. La cultura rientra tra gli interessi dei candidati e, dal punto di vista del manager, appartiene in particolar modo ai giovani (iniziando dai Millennial), ma pure ad alcune figure senior. “I colloqui sono diventati collettivi; nel mio caso coinvolgo anche le persone del mio team. L’ago della bilancia si sta spostando e dobbiamo ascoltare le esigenze delle persone, soprattutto ora che nel settore dell’Information Technology abbiamo difficoltà a reperire talenti”, dice il manager, aggiungendo che, per rinforzare il loro impegno, l’azienda ha assunto un CSR manager, una figura fino a poco tempo fa non prevista dall’organigramma e oggi dedicata proprio all’ambito sociale.

Il job title rappresenta i valori dell’organizzazione

Per rappresentare la cultura aziendale, anche il job title è significativo, perché definisce e riflette i principi dell’organizzazione. E, nel corso della carriera, questo può cambiare per seguire le strategie aziendali. È il caso di Accor, gruppo alberghiero francese, come rivela Enrica Tomei, Talent & Culture, Internal Communication e CSR Manager di Accor Italia, Grecia, Malta e Israele: “Abbiamo sostituito il termine ‘HR’, con quello di ‘Talent & Culture’; è stata una trasformazione vera e propria in termini di strategia. Con la parola ‘talent’ ci si vuole rivolgere a tutti i collaboratori, i leader e i coach che supportano lo sviluppo delle persone”. Come racconta la manager, collaborazione, diversità e apertura di pensiero sono aspetti che permettono la crescita: “L’accezione del termine ‘talent’ racchiude in sé che tutte le persone devono sentirsi valorizzate e riconosciute, facendo parte di una comunità; questo si suddivide in performance e potenziale”. La parola “culture”, invece, vuole rispecchiare il fatto che il cliente è al primo posto perché è il ‘giudice’ della performance aziendale e collettiva. “Condividiamo l’opportunità di contribuire alla visione del gruppo e facciamo in modo che le persone che sono sul campo con i clienti si sentano fiduciose”, spiega Tomei.

La motivazione in un’azienda è influente perché guida l’approccio dei collaboratori ed è un tassello importante per la loro soddisfazione: “Se loro stessi sono i promotori di una cultura positiva e danno un buon esempio, che poi influenza quello dei colleghi, si crea un ambiente stimolante improntato al successo”, è la tesi della manager. È responsabilità dell’impresa adottare misure che migliorino la qualità della vita dei lavoratori ed è proprio una crescente attenzione e consapevolezza verso queste tematiche che permettono di raggiungere le performance, ma pure di attrare nuovi talenti e fidelizzarli. “Non esiste una formula universale che vada bene per tutti, però, ci sono strumenti che sono in grado di determinare la capacità dell’organizzazione di agire in questo senso”, continua Tomei. E per potenziare l’engagement, secondo la manager, occorre porsi domande: “Che cosa sto trasmettendo ai miei collaboratori?”, “Sto parlando in senso univoco o mi sto confrontando con loro?”, “Sto dando un’informazione oppure c’è uno scambio?”. Lavorare su fiducia e ascolto è il primo passo a cui possono seguire poi strategie più dirette.

La responsabilità di chi guida è quella di dare l’esempio. Accor lo fa tramite quattro indicatori: il primo è quello di attrarre e formare. “L’azienda si impegna a riflettere sulle leve di attrattività e nell’aumentare la consapevolezza del lavoro, ma anche delle opportunità di sviluppo promuovendo, per esempio, la mobilità sociale. Deve inoltre proporre un’offerta diversificata e fare dell’Academy uno dei centri di eccellenza nel formare i profili del futuro”, dice Tomei. Poi c’è l’aspetto del reclutamento, tramite cui serve seguire un processo che corrisponda alla visione aziendale: “Alcuni hotel hanno sviluppato strategie e Accor li accompagna nel presentare i vantaggi delle professioni, favorendo inoltre la mobilità internazionale. Sono sempre pubblicate molte offerte, anche per soddisfare il turnover”.

Il terzo punto riguarda il work-life balance, perché, come sostiene la manager, in un albergo dove si lavora 24 ore su 24 e in cui l’accoglienza è fondamentale, bisogna tenere conto del bilanciamento tra lavoro e vita privata, introducendo buone pratiche per migliorare la qualità di vita. Infine, l’ultimo aspetto riguarda la fidelizzazione e la crescita delle persone: “Uno degli strumenti adottati dal gruppo è quello del mentoring e del coaching, i quali permettono lo sviluppo professionale e presuppongono una condivisione, più che un rapporto gerarchico. Non ci devono essere disuguaglianze e discriminazioni”, è il pensiero di Tomei. Si chiama “Heartist” la trasformazione culturale avvenuta in Accor: “Le persone sono il cuore in un palcoscenico chiamato ospitalità”.

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