
Chi non risica… non Ral
Chi cerca lavoro è possibile che si sia imbattuto – anche di recente – in annunci che sembrano scritti da un generatore automatico di frasi fatte: “Azienda leader di settore”, “Ambiente giovane e dinamico”, “Ral commisurata all’esperienza”. Un lessico che, più che informare, confonde. E che, soprattutto, evita accuratamente di rispondere alla domanda che tutti si pongono: quanto pagheranno per questa posizione?
Negli ultimi anni, gruppi LinkedIn e pagine satiriche hanno fatto a pezzi questa retorica, smascherando le ipocrisie dietro gli annunci. Meme, post ironici e commenti al vetriolo hanno messo in luce una realtà che molti professionisti conoscono bene: ci sono aziende che chiedono competenze da astronauta… offrendo stipendi da stagista. E lo fanno senza mai esplicitare la retribuzione. Come se questa fosse un dettaglio secondario, un’informazione da svelare solo dopo il terzo colloquio e una prova pratica.
Ma perché le aziende continuano a non dichiarare la Retribuzione annua lorda (Ral), nonostante le pressioni normative e sociali? Nonostante la Direttiva europea 2023/970 sulla trasparenza retributiva (entrerà in vigore a giugno 2026) ha già anticipato la necessità di maggiore trasparenza salariale negli annunci, la resistenza sul tema retribuzioni è palpabile. Dietro questa opacità non si nasconde solo la volontà di risparmiare, ma una serie di motivazioni più complesse, talvolta persino comprensibili. E sì, anche un po’ ipocrite.
Parlare di soldi resta un grande tabù
In Italia, parlare di denaro è ancora un tabù. Lo stipendio è un’informazione riservata, quasi intima. Non si chiede, non si dice, non si confronta. Le aziende hanno cavalcato questa cultura del silenzio, trasformandola in strategia. Non dichiarare la retribuzione permette loro di mantenere il controllo, di negoziare caso per caso, di evitare confronti interni. Ma c’è di più.
Immaginate un’impresa con una squadra di lavoro consolidata, composta da professionisti con 20 o 30 anni di anzianità. Magari sono persone che sono cresciute con l’azienda, che hanno attraversato crisi, fusioni, cambi di management. La loro retribuzione, spesso, non è allineata al mercato; non per cattiveria, ma per inerzia. Negli anni, gli aumenti sono stati minimi, legati più alla fedeltà che alla performance.
Immaginate, ora, che la stessa azienda debba assumere un nuovo profilo, magari un giovane con competenze digitali, capace di parlare in modo fluente tre lingue e in grado di gestire progetti internazionali. Per attrarlo, dovrà offrire una Ral competitiva, magari superiore a quella dei colleghi storici. E qui nasce il problema: se l’azienda pubblicasse l’offerta con la retribuzione esplicita, i dipendenti scoprirebbero che il nuovo arrivato guadagnerebbe più di loro. E non la prenderebbero certamente bene.
La trasparenza salariale, in questo contesto, non è solo una questione etica: è una bomba sociale. Rendere pubblica una Ral ‘sfidante’ significa sbattere in faccia ai dipendenti una verità scomoda. Significa ammettere che il mercato è cambiato, che le competenze richieste oggi valgono di più, che la fedeltà non è più premiata come un tempo.
Trasformare un’occasione in minaccia
Per evitare malumori, richieste di adeguamento, confronti imbarazzanti, le aziende preferiscono tacere. La Ral diventa un’informazione da trattare con cautela, da negoziare in privato, da calibrare in base al contesto. Non è solo una questione di budget, ma di equilibrio interno.
Se un’azienda decidesse di allineare tutte le retribuzioni al mercato, probabilmente subirebbe un disastro finanziario. I dipendenti storici, spesso numerosi, rappresentano il cuore dell’organizzazione. Adeguare i loro stipendi significherebbe aumentare il costo del lavoro in modo esponenziale. E non tutte le imprese possono permetterselo.
Molti lavoratori con alta anzianità sono fidelizzati per motivi non economici: la stabilità, la cultura aziendale, la vicinanza a casa, i benefit non monetari… Per loro, lo stipendio non è l’unico driver. Tuttavia, se scoprissero che il nuovo assunto guadagna il 30% in più, potrebbero cambiare idea. Ecco perché la trasparenza salariale, pur auspicabile, è spesso vista come una minaccia.
Il merito di chi… sa vendersi bene
Un’altra motivazione che spinge le aziende a non dichiarare la Ral è la retorica del merito. Spesso si dice che la retribuzione dipende dalle competenze, dall’esperienza, dalla capacità di negoziare. In realtà, questa filosofia serve, non di rado, a giustificare trattamenti disomogenei. Chi sa vendersi bene, chi ha più leverage, chi arriva da un competitor importante, ottiene di più. Chi accetta senza discutere, resta indietro.
La frase “Ral commisurata all’esperienza” è una foglia di fico. Non significa nulla, ma dà l’illusione di equità. In realtà, è una formula che permette all’azienda di offrire il minimo indispensabile, salvo eccezioni. E di mantenere il potere contrattuale.
“Azienda leader di settore”, come si diceva, è un’altra espressione abusata. Ma cosa significa davvero? Spesso, nulla. È una formula che permette di dare autorevolezza, a compensare la mancanza di informazioni concrete. Un’azienda davvero leader non ha bisogno di dirlo: lo dimostra con i fatti, con la reputazione, con le condizioni offerte. Invece, molte imprese si nascondono dietro questa etichetta per giustificare richieste esagerate. Il risultato? Un mercato del lavoro schizofrenico, dove le aspettative sono altissime e le offerte opache.
Ridurre il gender pay gap
La Direttiva Ue sulla trasparenza retributiva del 2023 e impone alle aziende, tra le varie cose, di comunicare la retribuzione o la fascia retributiva già in fase di selezione. La direttiva vieta anche di chiedere al candidato lo stipendio precedente, per evitare discriminazioni e perpetuare disuguaglianze. Ogni lavoratore avrà diritto a conoscere il proprio livello retributivo e la media retributiva dei colleghi con mansioni equivalenti, suddivisa per genere.
Se il divario retributivo medio tra uomini e donne superasse il 5% senza giustificazione, l’azienda dovrà avviare una valutazione congiunta con i sindacati e applicare misure correttive. Dal 2027, le aziende con oltre 250 dipendenti dovranno pubblicare annualmente il divario retributivo. Dal 2031, l’obbligo sarà esteso alle imprese con più di 100 dipendenti. E se il gap non sarà corretto entro sei mesi, scatteranno sanzioni.
Secondo i dati della Commissione europea, le donne guadagnano in media il 13% in meno rispetto agli uomini per lo stesso ruolo. In Italia, il divario è ancora più marcato: nel settore privato, le donne percepiscono in media il 15,9% in meno. L’Inps conferma che le lavoratrici italiane guadagnano il 20% in meno rispetto ai colleghi uomini a parità di ruolo.
La trasparenza salariale è quindi anche uno strumento per combattere il gender pay gap. Ma molte Piccole e medie imprese (PMI) italiane non sono pronte: si stima che solo una minoranza abbia già avviato processi di adeguamento. Il rischio principale è l’adempimento formale della norma, senza un reale cambiamento culturale.
Le aziende non sono ipocrite per sport. Lo sono per necessità sistemica. La trasparenza salariale è un valore, ma anche un rischio. Esplicitare la Ral, come visto, potrebbe mettere in discussione equilibri interni, affrontare confronti scomodi, rivedere politiche retributive. Non tutte le organizzazioni sono pronte. E soprattutto: gli HR sanno scrivere gli annunci di lavoro e sanno che questi dovrebbero contenere la Ral; non hanno certo bisogno di qualcuno che glielo insegni. L’evoluzione, anche qui, è inevitabile. I professionisti chiedono chiarezza. È questione di tempo.

HR Manager con ampia esperienza del mondo Manufacturing. Studia e analizza i contesti sempre più mutevoli per supportare Persone e Business. Seleziona persone che in ogni ruolo possano contribuire con la propria peculiarità, promuovendo progetti e politiche retributive mirate a favorire il benessere e la meritocrazia diffusa. Da sempre affascinato dalla relazione tra Psicologia, Diritto e dal mondo Produttivo in generale. Lascia un impiego in una Agenzia per il Lavoro per conoscere come “si fanno le cose” e studiare l’amministrazione e le regole che ci stanno dietro. Dopo la laura in Filosofia decide di frequentare – lavorando – un Master in Gestione Risorse Umane, studiando costantemente e mi documentandosi per approfondire il diritto del lavoro, le tematiche commerciali, di posizionamento del prodotto e l’organizzazione aziendale, abbracciando la filosofia lean.
Ral, retribuzione, trasparenza salariale
