
Il conflitto che fa bene (all’azienda)
Il conflitto non è sinonimo di guerra. Al contrario, è una forza generativa, capace di aprire strade nuove e inattese. Da questa consapevolezza ha preso vita l’evento “Finché c’è conflitto, c’è speranza”, organizzato da Ismo – società di formazione e consulenza – e ospitato presso la Comunità Nuova CN l’Hub il 26 giugno 2025. Un momento di riflessione viva e collettiva, nato con l’intento di restituire al conflitto il suo significato più autentico e costruttivo.
Il messaggio racchiuso nel titolo è chiaro: il conflitto è una leva di cambiamento, un’occasione per crescere, comprendere e trasformare. In questo senso, l’evento assume un valore programmatico: un invito ad accogliere il conflitto come strumento di confronto con sé stessi, con gli altri e con le dinamiche organizzative. Finché c’è conflitto – quello autentico, non violento, ma critico e dialogico – c’è speranza, c’è futuro.
Ma da dove nasce, per Ismo, questa visione del conflitto? La scelta del tema è anche un omaggio a Vito Volpe, fondatore della società, scomparso nel 2024. Per Volpe, il conflitto non è stato solo un oggetto di studio, ma una chiave per interpretare la realtà e agire nel presente. Fondando Ismo nel 1972, in un’epoca segnata da profonde tensioni sociali e politiche, ha trasformato il dissenso in un valore. “Amava il confronto delle idee e si ricaricava ogni volta che qualcuno gli diceva di non essere d’accordo. Accoglieva con entusiasmo la diversità di vedute”, ha ricordato Andrea Volpe, suo figlio e oggi alla guida dell’azienda.
Il conflitto interno, relazionale e organizzativo
Ma comprendere il conflitto significa, innanzitutto, partire da sé. Ispirandosi al pensiero di filosofi, i partecipanti all’incontro sono stati invitati a riconoscere dentro di sé quattro archetipi: il bambino (la vulnerabilità e le ferite); l’adulto (la razionalità, talvolta rigida); l’animale (istinto e sensualità, se repressi fonte di aggressività); il folle (creatività e trasformazione). L’esperienza, condotta a occhi chiusi e accompagnata da letture poetiche, ha offerto uno spazio di ascolto e riconoscimento di queste figure interiori.
Il secondo passaggio ha portato il focus sulla relazione: ogni incontro è anche una tensione tra due soggettività. Nella postazione dedicata al conflitto relazionale, i partecipanti – in coppia e sempre a occhi chiusi – si sono poggiati le mani sulle spalle, cercando un equilibrio attraverso il contatto e la fiducia. Un gesto semplice, ma potente: ‘stare’ con l’altro senza difendersi né fuggire è un atto complesso, che richiede pazienza e tolleranza. Ma proprio lì nasce la connessione autentica.
Infine, ogni persona vive e lavora all’interno di un’organizzazione, luogo per eccellenza del conflitto tra spinte diverse: innovazione e conservazione. Per rendere visibili queste tensioni, è stata utilizzata una variante della tecnica della ‘sabbiera terapeutica’. I partecipanti, scegliendo e disponendo oggetti simbolici (animali, miniature, alberi) nella scatola di sabbia, hanno costruito una mappa collettiva del vissuto organizzativo. Che cosa è emerso? Il centro della sabbiera è stato occupato da tutti, talvolta con simboli ‘positivi’ – una famiglia, una cicogna, un diamante – altre volte con un leone; il centro, insomma, è un luogo desiderato, ma anche da difendere.
Imparare a litigare bene
In conclusione, dell’evento, don Gino Rigoldi, fondatore di Comunità Nuova, associazione no profit che opera nel campo del disagio e della promozione delle risorse delle persone, e Daniele Novara, pedagostica e terapeuta, hanno restituito al conflitto la sua dimensione più umana e educativa. Il sacerdote ha ricordato come l’amore predicato da Gesù fosse tutt’altro che docile: disturbava e rompeva gli schemi. E proprio da qui è nata l’idea di relazione come centro dell’educazione: non un’educazione fatta di regole imposte dall’alto, ma di scambio e di presenza.
Novara ha, invece, condiviso una storia: un ragazzo di 16 anni, minacciato da due coetanei armati, riesce a mantenere la calma e a sottrarsi al pericolo. La sua forza? Aver litigato spesso con la sorella. Il conflitto, se vissuto come esperienza di confronto e non come lotta per annientare l’altro, diventa palestra emotiva. Un luogo dove si impara a conoscersi, a regolare le emozioni, a stare nel mondo. Litigare bene – ha spiegato Novara – non significa trovare il colpevole o imporre una soluzione, bensì vuole dire imparare a raccontarsi le proprie ragioni, a mettersi nei panni dell’altro e a cercare insieme una via. In un tempo in cui il termine “conflitto” è spesso associato alla guerra, questa riflessione rimette al centro un’altra visione: il conflitto è vita e possibilità. Ed è speranza.

Alessia Stucchi è giornalista pubblicista. Laureata in Lettere Moderne in triennale e in Sviluppo Economico e Relazioni Internazionali in magistrale. Nel 2023 ha vinto il Premio America Giovani della Fondazione Italia Usa che le ha permesso di conseguire il master Leadership per le relazioni internazionali e il made in Italy. Nel tempo libero si dedica alle camminate, alla lettura e alle serie tivù in costume.
