La stampa si fa smart nell’era dell’azienda distribuita

La chiamano “nuova normalità”. Ma è solo un’etichetta per definire lo scenario in continua evoluzione che stiamo vivendo, che fa della fluidità e del cambiamento la sua peculiarità. L’emergenza sanitaria legata alla pandemia da Covid-19 ci ha costretto a imparare, in fretta, un nuovo modo di lavorare (ma possiamo pure dire di vivere) e a plasmare le nostre organizzazioni sulle sfide fino a ieri sconosciute. Come ogni crisi, ha accelerato numerosi cambiamenti. Per esempio, il perimetro delle imprese, già da tempo ampliato, è ora sfumato: l’emergenza ha imposto a milioni di lavoratori il remote working, confinato tra le mura di casa. Il risultato è stato, quindi, la delocalizzazione delle attività lavorative e un nuovo ecosistema aziendale nel quale sono rientrate le abitazioni dei collaboratori.

Il nuovo assetto organizzativo delle imprese costringe a ripensare ogni processo, compresi quelli di stampa. Fino a ieri ci si era concentrati nel massimizzare ed efficientare il workflow all’interno dei building aziendali: ora, però, l’emergenza ha di fatto svuotato gli uffici – o per lo meno l’obbligo di distanziamento sociale ne ha imposto un ripopolamento parziale – in favore del lavoro da casa. Difficile dire, oggi, quale sarà il trend nel breve periodo.

Basta guardare a qualche esempio proveniente dagli Usa – da cui noi europei preleviamo spesso spunti e idee – per trovare casi diametralmente opposti: se Google ha scelto di proseguire in modalità Smart working senza un vincolo temporale, Microsoft ha, invece, ipotizzato un ritorno a breve delle attività lavorative dalle sedi aziendali. “Immaginiamo che il modello di lavoro agile possa proseguire anche dopo la pandemia”, ragiona Riccardo Scalambra, Corporate Sales Manager di Epson. “Nel breve periodo l’ipotesi è che ci sarà un assetto ibrido con le attività lavorative che proseguiranno da casa, affiancandosi a quelle in ufficio e in altri ambienti”.

Modello di stampa per l’azienda distribuita

Sul fronte della gestione documentale, lo scenario impone, quindi, una nuova proposizione e il workflow disegnato sulle esigenze dell’ufficio deve essere rimodellato sulle necessità dell’azienda distribuita. Nell’era pre Covid-19, il modello di stampa centralizzato era in grado di rispondere alle esigenze dei layout degli spazi di lavoro: oggi i volumi di stampa sono diffusi in tutto l’ecosistema generato dallo Smart working e quindi anche i dispositivi devono rispondere alle nuove richieste.

La sfida è soddisfare le esigenze di stampa remote based. “Negli ultimi due anni, Epson si è concentrata nel potenziare la gamma di prodotti per la stampa centralizzata, affiancando, però, altre soluzioni più adatte al modello di azienda decentrata, ma con costi di gestione paragonabili”, prosegue Scalambra. Per questo l’azienda giapponese propone soluzioni che vanno nella direzione dell’uso promiscuo tra lavoro e attività personali, sull’esempio delle auto aziendali. “Proponiamo due gamme di prodotto multifunzione, a colori e monocromatiche nei formati A4 e A3 che hanno costi di gestione simili a quelli tipici della stampa centralizzata dell’ufficio, che ci permettono di rispondere al modello di stampa diffusa senza impattare sulle casse aziendali”.

A rendere possibile l’adattamento al nuovo modello è la tecnologia inkjet per le stampanti aziendali sviluppata da Epson, che si concilia con un’azienda nella quale gli utenti sono sparsi nel nuovo ecosistema. “A differenza della stampante laser, quelle inkjet permettono di tagliare i consumi energetici, di ottimizzare costi di stampa e di aumentare la produttività in ufficio”.

Nel modello di azienda senza confini il printing as a service, secondo quanto riporta Epson, sarà vincente così come si è rivelato ideale per le corporate che da tempo hanno esternalizzato la funzione di stampa, approfittando dei vantaggi offerti, legati al monitoraggio e all’approvvigionamento, oltre che ai costi.

Inoltre, un ulteriore plus della tecnologia inkjet è rappresentato dalla gestione dei consumabili che hanno elevatissime capacità – fino a 86mila pagine – e dunque richiedono una limitata attività di intervento sia per chi eroga il servizio sia per chi lo deve richiedere. E questo aspetto ha un impatto non irrilevante rispetto allo smaltimento dei rifiuti. “Negli uffici è un processo rodato e che segue procedure standardizzate nel tempo, ma diverso è il caso delle abitazioni; al di là dei componenti più durevoli rispetto alle tecnologie laser, il flacone delle stampanti inkjet è privo di chip da smaltire e può essere gettato direttamente nella plastica”, spiega Scalambra.

La stampante entra nel kit dello smart worker

Nonostante le numerose accelerazioni che stiamo vivendo – per la verità già in atto anche prima della pandemia – il paradigma paperless non sembra ancora farla da padrone, perché la carta continuerà a esistere. D’altra parte, stampare resta un’esigenza per vari settori aziendali, come l’amministrazione dove non ancora tutti i processi possono avvenire in digitale (o almeno non tutte le organizzazioni sono pronte per questa gestione). Quindi avremo ancora bisogno di stampare e come il Pc, anche la stampante è entrata a far parte del ‘kit dello smart worker’ che, oltre alla stampa, ha la necessità di acquisire documenti.

“Le richieste che riceviamo dai clienti riguardano la possibilità di disporre di dispositivi ad hoc per affrontare l’attuale situazione e affidarsi a partner in grado di rispondere alle necessità di un modello ibrido in cui alla stampa centralizzata si affiancherà quello di stampa distribuito”, commenta il Corporate Sales Manager di Epson. Insomma, anche in questo caso la parola d’ordine è “massima flessibilità”, ma senza impattare sui costi.

Poi c’è il tema della user experience: “Se i CIO sono concentrati sulla gestione del processo, serve offrire attenzione anche agli utenti, ai quali deve essere offerta la stessa esperienza dell’ufficio, con una usabilità semplice e di certo alla portata di tutti”.

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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

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