Le nuove competenze del manager al tempo del coronavirus

Nel pomeriggio del 23 febbraio 2020, il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha inviato la sua ordinanza per chiudere le scuole, i teatri, i musei, e una serie di altri luoghi di incontro di massa. Ha poi consigliato ai cittadini di rimanere in casa ed evitare il contatto in luoghi pubblici. Tutto ciò per fermare la diffusione del coronavirus (Covid-19 è il nome scientifico).

I media non hanno perso l’occasione di scrivere articoli dai titoli sensazionali per aumentare i propri numeri di lettura, mentre sui social sono esplose le interazioni per commentare ciò che stava (e sta tuttora) accadendo. Nella chat della scuola una mamma allarmata chiede: “Voi portate i bambini al parco oppure è meglio tenerli a casa? Secondo voi i bambini tra di loro si possono incontrare?”. Nella chat con i colleghi si domandano se il lavoro a distanza sia possibile ed elencano i progetti che in quel preciso momento vengono cancellati dai clienti. Nel gruppo di amici proliferano commenti di tutti i tipi e i post che la buttano sul ridere per sdrammatizzare la situazione.

È evidente che siamo tutti – chi in un modo chi in un altro – toccati da ciò che sta accadendo. Da lunedì 24 febbraio 2020, con una Milano ormai deserta, le parole che più risuonano in circolazione sono: panico, paura, allarmismo e allarme. Qualcuno addirittura ha provato a spiegare la differenza tra gli ultimi due.

L’impatto sul business e sulla vita delle persone

Tutto ciò ha ovviamente delle conseguenze nel mondo del business in cui, anche se proviamo a negarlo, le emozioni hanno un ruolo potente. Infatti, 24 ore dopo l’annuncio di Sala, la Borsa ha subìto un notevole calo, le aziende hanno messo in pratica piani e programmi straordinari e le organizzazioni statali e private hanno preso decisioni per tutelare le persone (e per tutelarsi in termini di responsabilità di fronte a questa crisi inaspettata).

L’iniziale preoccupazione di natura sanitaria si è trasformata in tensione economica e politica. L’inaspettato è qui, non possiamo evitarlo, quindi, come dicono gli americani, non ci resta che “cope with it!”. Ma come? È il ‘come’ che interessa noi coach e ciò ci permette di fare una riflessione più ampia su quali siano le competenze nuove e inaspettate che servono per lavorare nel mondo attuale.

Per noi che ci occupiamo dello sviluppo delle persone, l’intelligenza emotiva rappresenta una competenza che tradotta in comportamenti osservabili nelle organizzazioni può creare o, al contrario, distruggere valore. Siamo abituati a masticare questa competenza da tempo e sappiamo declinarla nelle sue varie sfaccettature: l’abilità di riconoscere l’emozione che regna, di saperle dare un nome, di saperla trasformare se di nostro interesse e la comprensione del suo carattere contagioso tra le persone. Siamo certamente abituati a frequentare questa competenza nelle sue varie sfaccettature relazionali: nell’interazione tra due persone, all’interno dei team oppure in situazioni più vaste all’interno delle organizzazioni.

L’importanza dell’intelligenza emotiva come una delle competenze principali degli Anni 2000 è stata sottolineata infinite volte da ricerche in tutto il mondo e ribadita ancora una volta nel famoso report del World Economic Forum pubblicato nel 2015.

Non mettiamo quindi in discussione questa competenza così largamente considerata, ma fino a ora l’abbiamo sempre letta in un’ottica quasi antagonista all’Intelligenza Artificiale, in stile “la nostra abilità di creare empatia e connessione emotiva ci dà un vantaggio che le macchine e i robot non potranno mai avere”.

Il fenomeno del coronavirus, però, ci presenta l’intelligenza emotiva sotto una nuova luce, laddove l’aspetto relazionale diventa meno importante ed emerge invece l’abilità dell’individuo e dei gruppi, a volte delle organizzazioni, di affrontare il sentimento di incertezza che caratterizza la nostra epoca. Un’organizzazione – anche un sistema sociale complesso – se sequestrata dalla paura, o da una qualsiasi altra emozione, opera in modo disfunzionale.

In questo caso le emozioni non sono frutto delle relazioni umane, ma nascono da una lettura del mondo che ci circonda. Già da tempo nei Paesi del Nord Europa si studia una dimensione emotiva collegata, per esempio, alla distruzione della natura: si parla di “angoscia ambientale”, un profondo malessere che scaturisce da prospettive negative relazionate ai temi dello sviluppo ambientale. Ciò colpisce soprattutto i giovani e porta le persone a cadere in depressione o a compiere scelte di vita drammatiche come la decisione di non fare figli in un mondo che sta andando in rovina.

Gestire uno scenario confuso e poco chiaro

Il fondo finlandese che studia il futuro sostenibile, Sitra, ha lanciato uno studio sui megatrend di sviluppo che caratterizzeranno la decade degli anni 2020 (clicca qui per approfondire lo studio: https://www.sitra.fi/en/news/here-they-are-the-most-important-trends-of-the-2020s/), tendenze che rappresentano un insieme di diversi fenomeni e ci raccontano in quale direzione si sta sviluppando il mondo.

I trend hanno un carattere globale e una base di evidenza scientifica forte per cui possono chiarire con una probabilità molto alta in quale direzione si sta sviluppando il mondo. I cinque megatrend sono: l’urgenza della ricostruzione ecologica; la sfida dell’invecchiamento della popolazione e del cambiamento demografico; il potere delle reti; la trasformazione del sistema economico e la natura del lavoro; l’assorbimento della tecnologia in tutto il nostro fare.

Ognuno di questi trend ci racconta un mondo complesso dove ottenere informazioni affidabili e comprensibili è estremamente difficile e faticoso. Uno dei punti chiave di questi trend riguarda la trasformazione dei poli di potere tradizionali riconosciuti in molteplici nodi diversi. In questa conformazione l’abilità di creare ciò che in inglese viene definito con il termine “bewilderment”, cioè confusione e poca chiarezza, è potere, secondo lo studio di Sitra.

Rimanere lucidi e saper gestire la dimensione emotiva in modo costruttivo in questo paesaggio diventa critico, ma non soltanto. All’interno di questo quadro emerge un insieme di nuove competenze non considerate cruciali oppure addirittura inesistenti per il business fino a poco tempo fa.

Valutare ciò che è bene-male nella dimensione collettiva

Tra le nuove competenze ci sono lo “Health Acumen” ed “Environmental Acumen” (a volte chiamato anche “Carbon Acumen”). La prima si fonda sul sapere, sull’intelligenza e sulla capacità di capire ciò che fa bene e ciò che fa male alla salute, non soltanto in una dimensione individuale, ma anche a livello collettivo. Questa è appunto la competenza applicabile al caso attuale del coronavirus.

Un buon Health Acumen aiuta ad agire in modo costruttivo su fronti che riguardano squisitamente la salute individuale dei dipendenti e le sue derivate più dirette (assenteismo, malattia, infortuni) e indirette (motivazione, ingaggio, livello di prestazioni), ma permette anche di analizzare, gestire e fronteggiare argomenti che sono connessi con la salute a un livello più allargato di società e collegarli a eventi che vanno al di là dello stretto core business.

Ragionamenti di questo tipo ci portano a riflettere su quali siano le conseguenze sulla salute delle persone in senso più vasto. Per esempio, quando sviluppiamo nuovi servizi e prodotti la domanda che le aziende responsabili e competenti in tema sanitario si fanno sono: che effetti avrà il mio servizio o l’uso del mio prodotto sulla salute delle persone, non necessariamente nell’immediato, ma anche in una prospettiva temporale più lunga?

Le competenze sono spesso interconnesse tra di loro e si rafforzano l’una con l’altra. Così anche per Health Acumen ed Environmental Acumen. Quest’ultima consiste nella comprensione della relazione tra l’organizzazione e l’impatto che questa ha sull’ambiente, ma ciò è parzialmente il territorio anche della prima competenza.

L’approccio environmentally friendly da un lato può determinare dei ‘risparmi’, poiché tante delle azioni green portano a una riduzione dei costi, come per esempio soluzioni di risparmio energetico o un uso smart del riscaldamento, piuttosto che il lavoro a distanza. Dall’altro avere un buon Environmental Acumen può aiutare a sviluppare nuovi prodotti richiesti da un mercato sempre più sensibile al tema, e aiuta l’azienda a profilarsi agli occhi dei consumatori in modo positivo e accattivante.

Environmental Acumen guarda al futuro e può aiutarci a evitare possibili difficoltà o addirittura catastrofi. In relazione a questa competenza è interessante il pensiero del Business Coach svedese Marianne Fröberg link: https://performant.it/blog.php?id=184 che sostiene che le donne in questa trasformazione verso un pensiero più green in azienda possono avere un ruolo particolarmente importante poiché la sensibilità a questi temi, secondo molti studi, è più sentita proprio nella popolazione femminile.

Il nuovo sapere nel mondo interdipendente

Viviamo in quella che viene chiamata la knowledge society nell’epoca della knowledge economy. Circondati dalla conoscenza, il problema spesso diventa qual è il sapere che ci serve veramente e quali sono le fonti affidabili da cui reperire l’informazione. Infatti, questo knowledge hunting è un’abilità che nella nostra epoca rappresenta la base per tutto il resto.

Il nostro sapere è un misto tra formazione acquisita dagli studi e dall’esperienza acquisita nel lavoro. A nostra disposizione oggi c’è l’infinita Rete di Internet dove l’ostacolo che riscontriamo non è la quantità, ma la qualità e la correttezza dell’informazione che circola.

Poi a nostra disposizione ci sono canali informali, i cosiddetti smart nest ovvero ambiti in cui la conoscenza si genera e circola all’interno di relazioni fittamente intrecciate. Per esempio, quando è balzato alla cronaca il fenomeno del coronavirus ho potuto farmi spiegare come nasce e si diffonde un virus di questo tipo da mio cognato, che è un ricercatore biochimico di professione. La sua conoscenza da quel momento in poi è diventata la mia e mi ha aiutata a sviluppare una lettura più ‘raffinata’ su ciò che sta accadendo. La nostra rete personale fa parte del nostro patrimonio di conoscenza.

Per gestire in modo efficace la contemporaneità servono quindi nuove competenze, abilità interdipendenti che si influenzano e si nutrono tra di loro. L’insieme di queste competenze aiuta l’individuo e l’organizzazione a pensare in un’ottica più allargata, al di là della pura esecuzione quotidiana e alienata. La visione allargata ci serve ora più che mai, poiché siamo arrivati in un’epoca in cui è del tutto evidente che ciò che succede in una remota regione della Cina a più di 8mila chilometri di distanza, in qualche modo tocca anche noi.

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Anja Puntari

Senior Business Coach e partner in Performant by SCOA

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