Le risposte adattive alle sfide dei new ways of working

Ci siamo entrati a piè pari; lasciate le abituali scrivanie, la foto dei bambini, i rituali con i colleghi. L’ingresso in un nuovo modo di lavorare (new ways of working) è stato repentino. Le sfide che questo approccio impone non sono poche e, anzi, strada facendo ne abbiamo scoperte di nuove. Come affrontarle? Come adattarci con successo?

Diversità, inclusione e talent mobility

Una grande sfida dei new ways of working sta nel fatto che il lavoro da casa non favorisce naturalmente la diversità, l’inclusione e l’equità, anzi le può anzi ostacolare. La diversità è la presenza di differenze nell’organizzazione: identità, religione, nazionalità e orientamento sessuale. È un outcome. L’inclusione è la percezione di essere accolti e valorizzati da parte di chi ha diverse identità; e non è un prodotto automatico della diversità: essere invitati al party è diversity; essere invitati a ballare è inclusione. L’equità è un approccio che garantisce che ciascuno abbia accesso alle stesse opportunità. Riconosce che i punti di partenza sono diversi e cerca di correggere queste disparità.

Il lavoro da casa impatta tutte queste dimensioni: chi è fragile psico-fisicamente, chi ha familiari a carico o se ne prende cura, chi non si sente un nativo digitale, non ha spazi e connettività adatti, chi non può svolgere il suo ruolo da remoto. Per avere organizzazioni sane, sostenibili e di successo, è necessario far emergere questi rischi e attivare politiche concrete per favorire l’inclusione.

Sempre parlando di sfide, da non sottovalutare è tutto il mondo dei talenti e della loro mobility. Il Microsoft Work Trend Index ha rivelato che il 41% delle persone a livello globale sta considerando di cambiare organizzazione. Il New York Times l’ha chiamata “Yolo economy” (l’economia del ‘si vive una volta sola’). Possono essere scelte di carriera non ortodosse, come il sacrificare l’opportunità di essere pagati di più di o di avere contratti a tempo indeterminato, a favore di uno stile di vita più flessibile, nomade, basato sulle proprie passioni. Le organizzazioni che ignorano la sfida della talent mobility rischiano di trovarsi a gestire ondate ripetute di pre-pensionamenti a discapito del proprio employer branding.

Come possiamo rispondere in maniera adattiva a queste sfide? Ecco qualche risposta su cui riflettere.

Arricchire il menù della flessibilità

La flessibilità non si riduce al binomio lavoro in ufficio e lavoro da remoto. Ha molte altre dimensioni che possono rendere le imprese più agili, performanti e inclusive, quali: orari flessibili di entrata, uscita, pranzo o pause; flessibilità di fruizione ferie, sabbatici e congedi; lavoro part time in tutte le sue varianti; rotazioni per fasce orarie, mansioni, attività e formazione all’interno del team; condivisione dei ruoli; pensionamento graduale a fasi; tempi/giorni definiti per trovarsi nello stesso luogo a collaborare; luoghi diversi dalla sede e dalla casa per lavorare.

Si tratta di mix di misure formali e informali che può spingere significativamente l’innovazione organizzativa e la performance, in modo sostenibile. E per la talent mobility avanzata, ci sono già soluzioni e piattaforme tecnologiche (AI based) a disposizione, come Gloat e Fuel50, che grandi aziende come Unilever, PepsiCo e Schneider Electric hanno iniziato ad adottare per facilitare la mobilità interna.

Parità digitale e di esperienza

La resilienza digitale è definita come capacità di un’organizzazione di adattarsi rapidamente alle mutate condizioni ambientali e di business sfruttando le capacità digitali, non solo per ripristinare attività e processi aziendali, ma anche sfruttare le mutate condizioni.

Una forza lavoro ibrida efficace richiede la parità digitale: tutti i lavoratori devono avere accesso sicuro alle risorse necessarie per svolgere il proprio lavoro, indipendentemente dal dispositivo preferito, siano in sede, remoti o sul campo.

Parità di esperienza significa democratizzare il luogo di lavoro, affinché tutti i dipendenti abbiano l’opportunità di collaborare, imparare, innovare e avere successo, in qualsiasi momento, ovunque e su qualsiasi dispositivo.

Dalla leadership alla followership

La nostra cultura organizzativa, anche quella più innovativa, è tuttora fortemente concentrata sulla leadership. Ma più decisiva è la “followership”. Se la leadership è la capacità di guidare se stessi e gli altri, la followership è la capacità di seguire, di farsi guidare, in modo attivo, collaborativo, creativo, esprimendo convinzione, flessibilità, lealtà e mantenendo un costante orientamento al conseguimento dell’obiettivo e del risultato.

Immersi come siamo in una realtà culturale e sociale, professionale e aziendale sempre più scissa tra intenzioni e tentazioni autoreferenziali, autoritarie, e le involuzioni rinunciatarie, sentiamo il bisogno di una forte disciplina che sia condivisa. Ma, per non essere imposta e per non essere subìta, la disciplina deve e può solamente coincidere con l’autodisciplina, sia per i leader sia per i follower.

 

L’articolo è stato scritto da Giuseppe Geneletti, Head of Smart Working solution di Methodos, ed Elisabetta Peracino, Senior Editor di Methodos

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