Parità di genere

Parità di genere, serve una rivoluzione in azienda (e fuori)

È appena trascorso novembre, il mese nel quale si celebra la giornata a favore dell’equal pay gap (15) e la giornata contro la violenza sulle donne (25). I segnali di realizzazione di una vera inclusione sono però ancora lontani, perché le donne continuano a essere discriminate in azienda, infatti in Europa, per ora lavorata, il divario retributivo medio tra uomini e donne è del 12,7% (Eurostat, 2021). Emerge quindi la necessità non solo di riflettere, ma anche di agire: serve una rivoluzione. Rita Querzè, Giornalista del Corriere della Sera, è da sempre interessata alla rappresentanza femminile nella società e nel suo libro dal titolo Donne e lavoro. Rivoluzione in sei mosse (Post Editori, 2023) sottolinea, con storie vere, come oggi le donne non sono ancora libere di esprimersi appieno nella loro carriera.

Il punto di partenza dal quale iniziare ad agire è in realtà un punto di stallo: “In 30 anni non è migliorato niente o quasi. Piccoli passi avanti. Negli Anni 20 diversi segnali mostrano come il cambiamento sia ulteriormente rallentato”, scrive Querzè. Dagli Anni 90, con l’introduzione della legge che considera la violenza sessuale un reato, era nata, come sottolinea la stessa autrice, l’idea che il principio di equità fosse stato raggiunto. Ma questa era, appunto, un’illusione. I dati riportati nel libro mostrano, per esempio, che la maternità rappresenta un ostacolo alla carriera, che il lavoro di cura gratuito è gestito abitualmente dalle donne (nel 70% dei casi) e che gli uomini guadagnano di più a parità di istruzione (il divario è del 45,7% nel caso di istruzione terziaria).

Nell’attesa dell’equità, come sottolinea nella prefazione Maurizio Ferrera, Editorialista del Corriere della Sera e Docente di Scienza politica all’Università di Milano, sono due gli elementi che non hanno funzionato: il primo è la mentalità, ancorata a pregiudizi che attribuiscono agli uomini il ruolo di garante della sicurezza economica e alle donne il compito della riproduzione sociale; il secondo è l’inadeguatezza delle politiche pubbliche, perché, pur essendo il problema dell’inclusione presente nelle agende politiche, di fatto non si è introdotto un reale monitoraggio e dunque una soluzione del problema.

La scarsità delle imprese femminili  

In molti casi, il controllo del fenomeno è declinato in azienda nella certificazione della parità di genere. Ma, come sottolinea Querzè, lo strumento valutativo, così come strutturato oggi in Italia, non è una garanzia affidabile: il valore ottenuto è dato dalla media di 33 parametri (per esempio l’analisi del gender pay gap) e per ottenere la certificazione è sufficiente raggiungere ‘appena’ il 60% degli indicatori. Se ne deduce, quindi, che un’azienda potrebbe essere carente in alcuni aspetti e più virtuosa in altri. Secondo la giornalista la soluzione è la semplicità: utilizzare pochi indicatori, ma renderli pubblici e accessibili a tutti.

Nel caso, invece, del problema a monte della misurazione del gender pay gap, le soluzioni proposte sono due: l’abbassamento dello stipendio maschile o la crescita di quello femminile. “La riduzione del pay gap è un’operazione complicata e nessuno la regalerà su un piatto d’argento. Al contrario, richiederà tempo, energie e voglia di mettere in campo le proprie ragioni. A meno che non ci si accontenti di cambiare tutto perché nulla cambi”, è il pensiero di Querzè.

Dopo aver presentato la precarietà delle lavoratrici italiane – alle donne è destinato il 52% dei contratti intermittenti – la giornalista mostra come sia difficile costruire una propria azienda, soprattutto nei settori considerati maschili, come quello delle costruzioni (solo il 6,7% degli imprenditori è donna). Per aumentare la presenza di imprese femminili, l’autrice segnala che il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha stanziato 400 milioni di euro per questo scopo, ma senza un reale successo. E la stessa Europa ha anche fissato l’obiettivo – poco sfidante – di aumentare l’occupazione femminile di appena il 4% entro il 2026: “Un incremento che comunque ci lascerebbe agli ultimi posti della classifica europea. Ma ora perfino questo obiettivo rischia di non essere centrato”, giudica Querzè.

In chiusura di libro, l’autrice riflette sulle azioni concrete per migliorare la parità di genere, a partire dall’educazione scolastica: “La politica dei piccoli passi sta troppo, troppo lentamente colmando le disparità. Il nostro Paese ha bisogno di una rivoluzione intesa come una presa di coscienza collettiva dei problemi in campo, e di un salto in avanti”. E in questo non possono essere solo le donne a impegnarsi, ma serve anche il sostegno degli uomini.

Gender pay gap, parità di genere, Rita Querzè, Maurizio Ferrera


Alessia Stucchi

Alessia Stucchi

Alessia Stucchi è giornalista pubblicista. Laureata in Lettere Moderne in triennale e in Sviluppo Economico e Relazioni Internazionali in magistrale. Nel 2023 ha vinto il Premio America Giovani della Fondazione Italia Usa che le ha permesso di conseguire il master Leadership per le relazioni internazionali e il made in Italy. Nel tempo libero si dedica alle camminate, alla lettura e alle serie tivù in costume.

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