
Trump, negoziare col dazio
Alla fine ha vinto Donald Trump: il Presidente Usa ha fatto cedere l’Unione europea e imposto i dazi del 15% alle merci in arrivo dal Vecchio Continente (con qualche eccezione a dazio zero). Pur uscendone vincitore, l’inquilino della Casa Bianca non ha rinunciato alla sua strategia negoziale di ‘chiedere 100 per ottenre 10’, dimenticando che la negoziazione è un processo di scambio. A conti fatti, l’accordo è stato merito del dietrofront dell’Ue e, in particolare, alla rinuncia dell’azione del bazooka anti-dazi: Bruxelles ha preferito una capitolazione dai confini chiari a un esito incerto della guerra commerciale con gli Usa. Una retromarcia c’è stata anche da parte di Trump che da estremista è tornato moderato, seguendo un copione già visto.
A mettere in luce la strategia dell’inquilino della Casa Bianca è Claudio Cubito, Managing Partner e Senior Trainer di Scotwork Italia, rifacendosi all’esperienza dell’azienda leader in negoziazione che studia e analizza il tema da circa mezzo secolo, formando ogni anno centinaia di migliaia di persone a livello mondiale. Secondo l’esperto, infatti, sono almeno tre gli aspetti su cui Trump ‘inciampa’: un atteggiamento inizialmente estremista che poi volge verso la mediazione; le richieste fantasiose; le proposte del tutto sconnesse dalla realtà. Inoltre, il tycoon sarebbe lontano dall’avere il profilo del buon negoziatore – secondo la definizione è “chi è disposto a fare concessioni in cambio di qualcosa a più alto valore” – perché si affida troppo alla minaccia irrealistica.
La strategia del Taco
Andiamo con ordine. Nella primavera 2025, il Financial Times ha descritto così il Presidente Usa: “Trump always chickens out” (da cui l’acronimo “Taco”). L’etichetta – che ha scatenato una profonda polemica da parte della Casa Bianca – è legata proprio alle retromarce di Trump sui dazi: prima minaccia e poi torna su posizioni più moderate. Ecco dunque spiegata l’espressione “fa sempre marcia indietro”. “Da un lato si presenta come un lupo feroce, aggressivo, dominante e pronto a imporre la forza; dall’altro appare un chicken quando fa marcia indietro e questo mina la sua stessa credibilità”, dice Cubito, che sul tema della capacità negoziale di Trump ha scritto alcune riflessioni sul blog di Scotwork Italia.
Per l’esperto, infatti, questo atteggiamento può essere un limite: “Se funziona nel breve termine, perché gli interlocutori non conoscono la strategia, è rischioso e controproducente nelle relazioni durature”. Insomma, chi lo conosce, sa che il Presidente Usa spesso bluffa: “La negoziazione aggressiva, senza credibilità e senza capacità di costruire fiducia, alla lunga non paga”, prosegue Cubito. A meno che, come avvenuto nel confronto con l’Ue, dall’altra parte non ci sia qualcuno che compie per primo un passo indietro.
Il secondo aspetto da prendere in considerazione riguarda, invece, la capacità di legare la negoziazione a numeri precisi: “Chi fa una richiesta basata su fatti oggettivi e quindi non chiede per forza il massimo, ha più probabilità di chiudere il confronto raggiungendo l’obiettivo prefissato, perché la controparte è meno propensa a proporre una controproposta”, dice il Managing Partner di Scotwork Italia.
Formarsi per imparare a negoziare
C’è poi la questione che riguarda le richieste irreali: è una strategia piuttosto diffusa e consiste nel chiedere sempre il massimo per avere più margine di contrattazione. Il risultato? “Non è vero che più chiedi e più ottieni”, precisa Cubito. “Le proposte irrealistiche hanno l’effetto contrario, perché attirano risposte… irrealistiche”. Ma il principio vale anche per le proposte ‘realistiche’: “In questo caso si avranno risposte realistiche”.
Per spiegare il principio, l’esperto di negoziazione ricorda l’importanza di ‘ancorare’ la proposta a qualcosa di vantaggioso, ma senza ‘sparare troppo’ in alto, perché altrimenti l’ancoraggio non funziona. “Da 50 anni come Scotwork Italia studiamo la negoziazione su casi reali e abbiamo evidenziato cosa funziona e che cosa, invece, porta al fallimento”, dice Cubito.
Da queste analisi sono state elaborate le ‘linee guida’ che, se seguite, funzionano nell’80% dei casi. Provando a fare una estrema sintesi: “Se si fa una buona preparazione dell’incontro, si dialoga attivamente durante il confronto per raccogliere i bisogni della controparte, si verifica, successivamente, se ciò che era stato preparato resta valido alla luce di quanto emerso dal dialogo, si può avanzare per primi la proposta”. Dunque è smentito il mito di attendere la mossa di chi ci sta di fronte: “Fare per secondi la proposta conduce, nell’80% dei casi, a un risultato inferiore di quello atteso”.
Le competenze per negoziare – è bene saperlo – richiamano la capacità di risolvere i conflitti per ottenere il risultato migliore. La buona notizia è che, come tutte le skill, si può imparare, sviluppare e potenziare attraverso la formazione. E di questi tempi è una competenza fondamentale, soprattutto in una realtà nella quale i confronti avvengono sempre più mediati dalle tecnologie. “Oggi non è più sufficiente la capacità di convincimento; servono competenze negoziali e di ascolto per affrontare il processo di negoziazione. E le narrazioni che avvenivano un tempo non bastano più”, conclude Cubito. Per i dazi ormai i giochi sono conclusi, ma con Trump le giravolte sono all’ordine del giorno e farsi trovare preparati può essere molto utile.
donald trump, negoziazione, dazi
