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Un’Officina filosofica per la trasformazione digitale

In un momento storico in cui tutto sembra dettato dal progresso e dall’avanzamento tecnologico, emerge nelle aziende un grande bisogno: rimettere al centro di tutto il pensiero umano, i suoi interrogativi, le sue riflessioni più profonde. Nella complessità della realtà odierna e delle sue evoluzioni, trovare un significato in quello che si fa e in ciò che accade non sempre è così immediato; questo riporta a domande che si ponevano i filosofi antichi (“Chi sono? Dove vado? Qual è il mio ruolo nel mondo?”). Come tradurre dunque questi interrogativi nell’attuale contesto lavorativo?

Le persone hanno dentro di sé l’esigenza di dare un senso agli avvenimenti e possiedono, a questo proposito, la capacità di pensare e porsi domande. Questo va poi tradotto in azioni concrete. Proprio su queste premesse è nata l’iniziativa dal titolo Officina filosofica, cioè un pensatoio filosofico per imprenditori e manager con l’obiettivo di fare avvicinare la filosofia al mondo industriale. Paolo Borghetti, Imprenditore e Fondatore di Future Age, azienda di organizzazione manageriale specializzata in Change management e innovazione digitale, l’ha spiegato così: “Il progetto nasce riflettendo sul concetto fondamentale del mettere l’essere umano al centro”, ha detto durante l’evento di lancio, ospitato a Palazzo Gambara a Bedizzole, in provincia di Brescia.

La caratteristica principale di un imprenditore, secondo Borghetti, è la creatività e la capacità di mettersi in gioco; è attraverso queste doti che, a suo giudizio, si può cambiare il ‘sistema’: “Non dobbiamo avere paura dell’effetto boomerang; pensare che esprimere la nostra opinione ci si potrebbe ritorcere contro è un alibi, perché stiamo già perdendo la possibilità di essere liberi di manifestare il nostro parere”. Come ha spiegato lo psichiatra Paolo Crepet, intervenuto durante l’incontro, c’è un problema di dipendenza nell’attuale società generata dai dispositivi elettronici e dalla iper connessione: “Se siamo dipendenti, non siamo autonomi nell’esternare noi stessi”.

Così anche l’imprenditore deve avere il coraggio di scardinare l’ordine e creare organizzazioni che siano ‘sociali’, che possano essere ‘rifugi’ per le persone dove possano trascorrere giornate in maniera entusiasmante: “Questo non significa regalare monopattini elettrici, come fanno certe multinazionali americane, ma vuol dire far sentire importanti i collaboratori, condividendo strategie e obiettivi, nell’ottica di creare la missione aziendale”, è il pensiero di Borghetti. Serve ricordarsi, a livello culturale, i motivi per cui tra le nuove generazioni aleggia una sorta di apatia nei confronti del mondo del lavoro: “Lo si può gestire soltanto con le competenze umanistiche ed esercitando il pensiero”. Si chiama “filosofia esecutiva” ed è quella messa in pratica proprio dall’Officina filosofica: l’idea è quella di conferire all’intelletto un’applicazione pratica.

Educare alla civiltà e alla vita politica

Per evolvere serve lavorare sullo sviluppo manageriale e lo sviluppo digitale, un tassello importante nell’evoluzione organizzativa di oggi. Secondo recenti dati del Rapporto Istat, nel 2021 il 60,3% delle Piccole e medie imprese (PMI) italiane ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale (la media europea si attesta al 56%). Secondo l’indice Desi, l’indicatore sulla digitalizzazione, le aziende italiane sono al decimo posto della graduatoria europea. In generale, però, l’80% delle imprese con almeno 10 addetti ha un livello basso o molto basso d’adozione dell’ICT. “Occorre trasformare le aziende accentrate in digitali perché altrimenti tra qualche anno spariranno”, ha affermato Borghetti.

Secondo il fondatore di Future Age, questo lo si può fare attraverso il Broker IT, un manager che coniuga le competenze informatiche e di processo a quelle umanistiche. Questa figura lavora sulla base di tre pilastri. Il primo è il “pensare critico” (il filosofo contemporaneo statunitense Robert Audi definisce la filosofia come “lo studio critico e sistematico di una gamma illimitata di problemi e idee”). Nella pratica, come raccontato da Borghetti bisogna capire quali problematiche sono presenti nell’IT; gli informatici hanno alcune aree meno sviluppate: non hanno competenze umanistiche – e quindi non sempre parlano lo stesso linguaggio di chi guida l’azienda – faticano a capire che implementare un software impone un cambiamento, e non conoscono i processi aziendali o li interpretano solo dal punto di vista informatico”. Ecco perché serve, prima di tutto, lavorare dal punto di vista psicologico delle persone, nell’ottica di prepararle alla trasformazione.

Il secondo pilastro coincide con il “pensare altrimenti”, che permette di liberare la mente dalle verità assolute e preconcette, mettendo in discussione i dogmi. “Per arrivare a una trasformazione digitale sostenibile dobbiamo lavorare con le materie umanistiche, come il coaching e l’intelligenza emotiva…”, ha chiarito Borghetti. Soltanto successivamente si interviene nei processi, razionalizzandoli, identificando gli sprechi ed eliminandoli; successivamente ci si occupa di implementare software e tecnologia.

Il terzo pilastro riguarda un “umanesimo sostenibile” – come nel Quattrocento si poneva l’accento sulla capacità dell’essere umano di agire nella vita civile e politica – erogando corsi di educazione civica, politica, alimentare, soluzioni di welfare e visitando musei. “Dobbiamo prenderci cura della vita delle nostre persone se vogliamo che si interessino dell’azienda. Se stanno bene, performano meglio e fanno meno assenze”, è la tesi di Borghetti. La conoscenza è potere: se si conosce, di conseguenza si sa come comportarsi e si può discutere in modo civile.

Far crescere le aziende come dei bonsai

Rispetto alla conoscenza, anche Crepet è d’accordo: “Non abbiamo messo risorse nell’educazione; avete mai visto un talk show su questo tema?”. Certo è che non bisogna mettersi nell’ottica di fare ‘da maestri’, ma semplicemente occuparsi di una questione fondamentale per la civiltà. Occorre investire in questo perché c’è bisogno di gente che sappia parlare e confrontarsi. Lo psicanalista è ricorso a una metafora per chiarire in concetto: “Il linguaggio lo impariamo ascoltando; si tratta di una questione emotiva, perché è essenziale che qualcuno parli con noi e per noi perché possiamo apprenderlo. Ma se nessuno esercita il dialogo, se si è costantemente connessi e impegnati con i device, come si fa?”. Dunque siamo tutti presenti, ma altrove.

Questo non significa condannare il digitale, bensì sfruttarlo in modo opportuno e funzionale alle attività che si svolgono. La pandemia e la diffusione dello Smart working, in effetti, hanno portato a un abuso dei dispositivi elettronici (anche se ora pare che la situazione si stia ridimensionando). Secondo le ricerche di Audit Censis, il numero di smartphone nelle famiglie italiane ha superato quello dei televisori; ne dispongono il 95,9% di italiani per circa 43 milioni di unità.

È chiaro dunque che il digitale è parte delle nostre vite, ma fino a che punto? “Non è che io non lo utilizzi, del resto pure io comprai il Commodore sostituendo la mia Olivetti”, ha rivelato Crepet. Erano gli anni in cui c’era quella che lo psichiatra definisce come “la battaglia più interessante sulla tecnologia commerciale”: da una parte il colosso del settore informatico IBM, aveva pensato di fare una campagna con una parola, “think”; dall’altra parte, Steve Jobs, aveva rilanciato con lo slogan “Think different” per la sua Apple. “Ci si prende così una buona fetta del mercato che sfrutta il digitale e su quella si lavora in maniera emotiva”, ha commentato Crepet. C’è stato un investimento enorme, proprio per far capire al mondo che la tecnologia era un elemento chiave che doveva far parte di un giudizio positivo. Ecco perché occorre integrarla in azienda, portando alla luce il pensiero critico e agendo sulla parte umanistica, facendo crescere le aziende come dei bonsai.

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Federica Biffi

Laureata magistrale in Comunicazione, Informazione, editoria, classe di laurea in Informazione e sistemi editoriali, Federica Biffi ha seguito corsi di storytelling, scrittura, narrazione. È appassionata di cinema e si interessa a tematiche riguardanti la sostenibilità, l'uguaglianza, l'inclusion e la diversity, anche in ambito digital e social, contribuendo a contenuti in siti web. Ha lavorato nell'ambito della comunicazione e collabora con la casa editrice ESTE come editor e redattrice.

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