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Zamperla, da Trump a Kim Jong-un, il mondo è tutto una giostra

Se si scorre la ‘Hall of Fame IAAPA’, l’Associazione internazionale dei parchi di divertimento e attrazioni, accanto a illustri nomi come Walt Disney, ideatore dei celebri Disneyland, George Ferris, ideatore della ruota panoramica e Walter Knott, che nella sua fattoria in California ha creato uno dei parchi più amati e visitati del mondo, c’è un solo italiano: Antonio Zamperla. Fondatore dell’omonima società, ad Altavilla Vicentina in provincia di Vicenza, con 190 addetti (450 come gruppo) e un fatturato di 85 milioni di euro grazie anche alle consociate in Russia, Bielorussia, Slovacchia, Cina e Filippine e uffici in Corea e Malesia. Suo figlio Alberto oggi è il proprietario dello storico stabilimento in Italia, ma anche di una società che porta il suo nome negli Usa: è lui che ha costruito, per esempio, quasi tutte le attrazioni di Disneyland Paris, due parchi in Nord Corea, frequentati anche dal Presidente Kim Jong-un, il parco di Coney Island, riaperto nel 2010, e il Victorian Gardens a New York realizzato insieme con l’attuale Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Per avere promosso il prestigio del Made in Italy nel mondo, nel 2010 Alberto Zamperla ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, oltre che parole di apprezzamento dalla municipalità di New York per aver dato lavoro a oltre mille persone in una zona, quella di Brooklyn, gravemente afflitta dalla disoccupazione. La storia della famiglia Zamperla parte da Ferrara e, come le migliori favole, comincia con una la nascita di un amore, sbocciato prima che i fratelli Lumiere inventassero il cinematografo, come racconta Alberto Zamperla, Presidente e Amministratore Delegato di Antonio Zamperla Spa.

La quarta generazione di giostrai deve la passione per il divertimento al bisnonno, un pasticcere di Ferrara, appassionato di ginnastica: “La storia che si tramanda nella mia famiglia è che arrivò in città un’amazzone che faceva acrobazie sul cavallo. Il mio avo se ne innamorò follemente, la sposò e insieme fondarono un circo. Da loro nacquero 11 figli tra cui mio nonno che sotto il tendone aveva un gran successo perché era in grado di fare il doppio salto mortale sulla groppa del cavallo. Quando ero bambino mio nonno mi prendeva sulle ginocchia e mi raccontava che una volta era caduto dopo un salto ai piedi del cavallo, il quale, con lo zoccolo, l’aveva ferito lasciandogli una profonda cicatrice sulla testa”.

Sarà stato l’incidente o chissà cosa, ma la vita da circense cominciò ad “andargli stretta”: “Così, ai primi del Novecento, andò a Parigi e acquistò uno dei primi proiettori progettati dai fratelli Lumiere e aprì diversi cinema in Italia. La mia famiglia, infatti, è ricordata anche per essere una dei pionieri della cinematografia nel nostro Paese. Finché gli americani non monopolizzarono il mercato, grazie alle nuove tecniche come il Cinema scoop e il Technicolor”. Per questo gli affari cominciarono ad andare male: “Mio padre allora cominciò a costruire delle attrazioni che mio nonno usava durante le fiere del cinema per attirare i compratori. Con il boom economico negli Anni 60 anche il settore delle giostre cominciò a crescere e tutti invogliarono papà a costruire delle attrazioni proprie perché era molto bravo. Nel 1966 creò una società a responsabilità limitata, la stessa società che ora porto avanti io, con lo stesso nome e la stessa partita Iva”. E che da poco ha festeggiato i 50 anni di attività.

Da Altavilla Vicentina come siete arrivati negli Stati Uniti?

Nel 1977 avevamo un buon mercato, mio padre allora decise di aprire una società di distribuzione negli Usa e affidò a me il ruolo di Amministratore Delegato. È stato un periodo molto formativo: ho capito l’importanza dell’immagine e di conoscere il mercato stando sul posto. Per esempio negli Stati Uniti piacciono le giostre con i colori tenui, in Europa quelli sgargianti, ma se non fossi stato mandato dall’altra parte del mondo non l’avrei mai saputo. Oggi abbiamo sedi in tutto il mondo e ogni volta che ne apriamo una nuova adoperiamo lo stesso schema: inviamo dipendenti italiani a guidare la filiale, meglio se veneti e meglio se alpini, perché questi ricevono un’ottima formazione avendo l’obbligo morale di essere sempre d’esempio per gli altri.

Uno dei vostri partner più importanti è Disney, come è nata questa collaborazione?

Uno dei momenti più importanti della mia carriera è stato l’arrivo di Disney in Europa: abbiamo realizzato più della metà delle attrazioni del parco divertimenti di Parigi e gli americani ci hanno scelto perché conoscevamo il loro mercato e il loro modo di lavorare, quindi sapevamo tradurre le esigenze in realtà. Disney è stato il nostro biglietto da visita e ci ha consentito di crescere e operare in tutto il mondo. Ciò che ci distingue dagli altri creatori di giostre è che abbiamo tutti i processi interni all’azienda, anche l’Ufficio artistico: questo è forse il motivo più importante per cui Disney ci ha scelto perché sono una società di artisti e hanno bisogno di interfacciarsi con chi ha la sensibilità di comprendere le esigenze. Tutto quello che serve per costruire una giostra, noi l’abbiamo in azienda, dalla fibra di vetro ai motori, dagli impianti elettronici al know how tecnologico. Siamo fornitori e responsabili.

Ha mai pensato di costruire parchi divertimento in Italia?

Nel mercato italiano abbiamo il 2% del nostro fatturato, collaboriamo con i grandi parchi come Mirabilandia o Etnaland. Avevo in progetto di realizzare un parco sull’isola artificiale di San Biagio, a Venezia, ma si è arenato per una serie di intoppi burocratici. Il nome provvisorio era ‘L’Isola dei Dogi’: volevo raccontare la storia di una città, Venezia, che adoro perché pur essendo un piccolo centro abitato è diventata potente, una città innovativa e democratica; per mille anni hanno avuto il Doge e quando la città era in difficoltà tutta la cittadinanza si riuniva per darle soccorso. È stata la prima realtà industriale al mondo, il copyright è stato inventato qui. Alla morte del Doge, poi venivano sottratti i beni accumulati durante il periodo in cui era stato a capo della città: un bell’esempio che abbiamo qui in Italia e non abbiamo seguito. Per ora un progetto ‘sospeso’.

Come avete resisto alla concorrenza dei Paesi orientali?

I cinesi hanno copiato tutte le nostre giostre, ma ho voluto evitare la ‘guerra’. Invece, ho investito in tecnologia per posizionare l’azienda in una fascia medio alta. In Italia collaboriamo con l’Università di Padova e con quella di Perugia sulle nuove tecnologie e i nuovi software. Con Ca’ Foscari, nella cattedra di Innovazione, stiamo creando un laboratorio che riunisce varie figure, come gli psicologi e i sociologi, per individuare i trend del mercato che cambia così velocemente, in un momento di instabilità globale, dal punto di vista politico, che non invoglia i consumatori ad abbandonare la comfort zone.

Dove producete?

Per essere più vicini al mercato Orientale in crescita, abbiamo costruito una fabbrica nelle Filippine. Abbiamo scelto questo Paese perché abitato da un popolo che ha avuto prima la dominazione spagnola e poi ha vissuto l’egemonia americana, quindi sono culturalmente più vicini a noi e parlano inglese. Lo stabilimento ha compiuto l’anno scorso 20 anni e ha più di 150 dipendenti. In Cina, invece, abbiamo chiuso la fabbrica e abbiamo solo un ufficio commerciale, perché è un Paese che non sempre garantisce la qualità delle materie prime e a noi serve l’affidabilità, visto che i nostri primi clienti sono i bambini. All’estero produciamo solo giostre ‘di piccola taglia’, mentre quelle tecnicamente più impegnative e adrenaliniche sono prodotte in Italia.

Come è gestita la produzione nel nostro Paese?

In Italia sviluppiamo interamente il prototipo, grazie agli esperti che abbiamo nei nostri stabilimenti. Dopo avere sviluppato, assemblato e testato il primo esemplare, si passa alla fase di ottimizzazione e industrializzazione del progetto. In questo modo riusciamo a immettere sul mercato circa 230 giostre l’anno. Grazie al nostro know how siamo in grado di costruire tutte le giostre che servono in un parco divertimenti. Abbiamo deciso di lasciare la sede storica in Italia perché all’estero gli italiani sono una garanzia nella risoluzione dei problemi, almeno così ci dice il nostro miglior partner, ovvero Disney. Non solo, siamo abituati alla Bellezza, abbiamo l’Arte nel nostro Dna e la nostra mano si riconosce. Noi imprenditori dovremmo curare di più questo privilegio, facendo rete e portando all’estero le nostre opere d’arte, organizzando mostre e sfilate di Moda.

Zamperla Group è molto nota, soprattutto negli Stati Uniti…

Sì, una commessa importante è stata la ristrutturazione di un parco nel quartiere di Brooklyn che ci è stata affidata dall’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, con l’intento di creare occupazione. Nel nostro parco, infatti, durante il periodo di apertura estiva lavorano fino a 1.200 persone, dato di cui siamo particolarmente orgogliosi. Dico nostro perché, oltre ad averlo ristrutturalo, ne curiamo la gestione in forza di un contratto di affitto di oltre 30 anni con la municipalità di New York. In Usa abbiamo, infatti, una società che gestisce i parchi e in uno di questi siamo gestori insieme con l’attuale Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, con cui abbiamo realizzato Victorian Gardens a Central Park, un parco divertimenti per bambini che affittiamo anche ai ‘vip’, come Madonna o Robert De Niro. Inoltre, collaboriamo con MCA Universal Studios, con Warner Bros, con Six Flags e Paramount.

La vostra azienda, quindi, ha il cuore italiano, ma ‘braccia’ di varia nazionalità?

Siamo un’azienda multietnica: possiamo dire che abbiamo personale proveniente da tutto il mondo. Per esempio, abbiamo uno stabilimento in Slovacchia dove produciamo i binari per le ‘montagne russe’ con sistemi automatizzati di movimentazione delle maschere.

Le vostre giostre sono esportate in tutto il mondo: vi occupate anche del montaggio nei Paesi in cui i rischi sono molto elevati?

Abbiamo costruito un parco divertimenti in Algeria e uno in Siberia, in un centro commerciale. Poi abbiamo due parchi in Corea del Nord, apprezzati anche dal Presidente Kim Jong-un che si è fatto fotografare sulle attrazioni; peccato che, a seguito delle sanzioni dell’Onu, siamo stati costretti a interrompere delle promettenti trattative commerciali per un terzo parco divertimenti sempre in zona Pyongyang. Le commesse più complesse da gestire sono state le due aree divertimento in Iraq dove nessuna compagnia italiana voleva trasportare le giostre sino a Baghdad. La costruzione, però, doveva avvenire per mano dei nostri tecnici italiani che sono stati dotati di giubbotti antiproiettili e sono stati guidati da una scorta armata sul posto. Non dobbiamo meravigliarci che in territori devastati dalla guerra o dove ci sono popoli oppressi vogliano le giostre: già gli antichi Romani dicevano che al popolo serve panem et circenses, e anche mio padre mi raccontava che, durante la guerra, il mercato delle giostre andava forte, perché gli uomini hanno bisogno di evadere dalla realtà. Ed è questo quello che noi offriamo.

L’articolo è stato pubblicato sul numero di settembre 2017 di Sistemi&Impresa.
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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

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