Ma quale novità, si faceva Smart working già nel 1973

Risollevare l’economia trasportando dati, piuttosto che persone. Sarebbe stata questa l’intuizione che nel 1973 ha portato alla teorizzazione di un modo nuovo di lavorare. Era l’anno del primo grande choc petrolifero: i prezzi aumentavano in modo esorbitane e si riduceva drasticamente la disponibilità di petrolio.

Jack Nilles, un fisico della Lawrence University, viveva nella caotica e già inquinata Los Angeles. Si rese conto che la maggior parte del traffico era fatto di cittadini che si spostavano verso gli uffici, non verso fabbriche o altri posti di lavoro che richiedono la presenza fisica del personale. Quando arrivavano alla scrivania, alzavano il telefono e trascorrevano la maggior parte del tempo a parlare con gente che si trovava in posti ancora diversi. Perché allora non farlo ciascuno da casa propria?

Nilles immaginò una serie di uffici satellite posizionati in luoghi più vicini alle abitazioni dei dipendenti. Coniò per la sua idea il termine telework, con cui definiva ogni forma di sostituzione degli spostamenti di lavoro con tecnologie dell’informazione, come le telecomunicazioni e i computer.

Nel 1972 avviò uno studio con la University of Southern California su una compagnia assicurativa. Durante i nove mesi di durata della sperimentazione, la produttività dei lavoratori crebbe, si ridussero le spese sanitarie per i dipendenti e crollano i costi delle infrastrutture. Lo studio suggerì che, se implementata a livello nazionale, la nuova modalità di lavoro avrebbe fatto risparmiare alla compagnia fino a 5 milioni di dollari l’anno.

Le tecnologie riducono gli spostamenti

L’esperimento, dunque, si rivelò da subito un successo, ma la compagnia non aveva intenzione di andare avanti. Si manifestarono già allora le resistenze che accompagneranno per anni i tentativi di estendere il teleworking teorizzato da Nilles. A prevalere era il cosiddetto business as usual: né le imprese né i dipendenti erano pronti ad abbandonare le vecchie abitudini.

Nel 1976 uscì il primo libro di Niles sul tema. Si intitolava The Telecommunications-Transportation tradeoff e poneva per la prima volta la questione del ruolo giocato dalle tecnologie: invece di guardare al traffico come a un problema di trasporti, ne faceva una questione di comunicazione. Immaginava che i computer e i nuovi mezzi di comunicazione potessero sostituire parte degli spostamenti quotidiani.

Il padre del telework ha dedicato in tutto cinque libri alla sua ricerca. Nel 1980 fondò insieme con la moglie Laila la società di consulenza manageriale Jala International, per sviluppare buone pratiche di Remote working. Nilles scriveva in un’era senza personal computer, laptop o smartphone. Non conosceva ancora né le chat di gruppo né le piattaforme di videoconference. Non parlava di home office, ma ipotizzava luoghi più vicini alle esigenze delle persone. Immaginava un modo diverso di lavorare. Che impiegherà quasi 50 anni per diventare la norma.

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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