Accettare il rischio, l’imprenditore nell’era delle incertezze

Posto che la complessità, la volatilità, l’incertezza e l’ambiguità in cui viviamo non siano azzerabili, varrebbe forse la pena di ‘abbracciare’ la complessità, accettando le caratteristiche intrinseche del macrosistema in cui viviamo, anziché investire le nostre risorse e il nostro tempo nei più vari, e forse anche vani, tentativi di una sua riduzione?

Cominciamo le nostre riflessioni proprio dalla complessità.

Abbiamo assistito nelle ultime decadi a vari tentativi di eluderla o ridurla, nella convinzione che questo fosse il miglior modo di governare le organizzazioni complesse. Ciò richiama il ruolo del leader. A lui spetterebbe il compito di creare le condizioni affinché i membri dell’organizzazione di cui è al comando possano operare in modo utile e proficuo, o pienamente rispondente alla loro mission, e sano, o in accordo a una variegata tipologia di principi, ambientali, etici, legati al benessere degli individui. Abbracciare la complessità implica così, innanzitutto, rivedere le competenze che deve avere un siffatto leader per muoversi in ambienti a elevata multiformità.

Senza dilungarci sul discorso delle competenze, vale qui sottolineare che, sopra tutte, urgono doti di flessibilità, creatività e tempestività. Quest’ultima, in particolare, è vitale in un mondo iperdinamico, in cui lo stato del sistema si modifica rapidamente con cambiamenti veloci, e talvolta improvvisi, del contesto di riferimento.

L’osservazione di questo fenomeno dovrebbe spingere in direzione della consapevolezza che il cambiamento stesso non sia un fatto episodico, ma sia divenuto una costante sistemica della società odierna. A livello organizzativo, si dovrebbero quindi limitare le resistenze al cambiamento e adottare strategie che favoriscano la consapevolezza che il cambiamento sia un fenomeno normale e sempre silenziosamente operante. In questo quadro la cultura gioca un ruolo di primo piano, contribuendo a preparare, per esempio, i dipendenti di un’azienda, o le persone in generale, ad adattarsi al cambiamento, agevolandole e al contempo favorendo un clima dinamico e creando organizzazioni più agili, snelle, efficaci.

Non è un compito da poco. È difficile e richiederà tempo, soprattutto nelle organizzazioni pubbliche, tradizionalmente meno orientate al risultato e più lente, perché burocratizzate. Ma anche nelle imprese gli approcci tradizionali di strategia aziendale, basati su una pianificazione di medio-lungo periodo, hanno mostrato di non essere in grado di adattarsi ai contesti turbolenti e instabili tipici del mondo globalizzato e digitale, con le sue tecnologie continuamente cangianti (Castaldo e Gatti, 2021).

Occorre, dunque, prendere atto che in contesti così complessi non sempre si è in grado di riconoscere esattamente tutte le dinamiche agenti: le variabili in gioco sono talmente tante che spesso è difficile identificare delle relazioni, anche solo lineari, fra di loro; a fortiori non possiamo prevedere in anticipo e con ragionevole sicurezza gli esiti dei fenomeni emergenti.

Nel mondo aziendale siamo stati abituati a elaborare un’unica strategia dopo aver analizzato e definito con precisione il contesto di riferimento, e da questo avere derivato poi il più probabile scenario futuro. Questo non è più sufficiente ed è divenuto essenziale immaginare e concepire più visioni, anche divergenti: in questo modo è possibile pervenire a operare in concomitanza con l’evolvere dei contesti e delle situazioni.

Nei sistemi complessi, infatti, la relazione lineare di causa-effetto sovente non vale più; così, non avendo più modelli razionali per spiegare i fenomeni che si vogliono osservare, veniamo proiettati in una situazione di ambiguità. Accettare tale indeterminatezza significa prendere in considerazione la possibilità che ciascun fenomeno abbia più di un’interpretazione. Questo ovviamente genera ambiguità e confusione e aumenta la possibilità di compiere degli errori. Ma allora come fronteggiare un mondo così dinamico, complesso, incerto e ambiguo, come quello che abbiamo tratteggiato?

L’azione dell’imprenditore nell’incertezza

Un aiuto in tale direzione può venire dall’agire imprenditoriale, il quale si svolge tipicamente nell’incertezza.

Ogni azione produce un cambiamento nella situazione preesistente e perciò l’errore è insito nell’azione stessa: esso può dipendere dall’incapacità, o assenza di volontà, nell’attuare i fini predisposti oppure dalla scelta incongrua dei mezzi. L’azione imprenditoriale è tipicamente soggetta a errori. Essa è un’azione inconsapevole, non essendo l’attore in grado di prevedere esattamente il futuro né con riferimento alle conseguenze dell’azione né con riferimento alle trasformazioni della realtà in cui essa si compie (Pacces, 1974).

Si potrebbe dire che il comportamento dell’imprenditore sia solo tendenzialmente razionale: posto un obiettivo, generalmente economico, combina i mezzi disponibili – i fattori produttivi – nel modo ritenuto più efficiente per attuare l’obiettivo. Nella terminologia economica, la possibilità di errore insita nell’azione prende il nome di “rischio di mercato” e per gli economisti classici funzione dell’impresa è proprio quella di assumere tale rischio, sollevando i fattori che essa combina nel processo produttivo. All’economia d’impresa è dunque connaturato il carattere di rischio. L’impresa moderna si muove in mezzo a troppe incognite per poter operare razionalmente: qualora se ne volesse spiegare l’operato non si potrebbe prescindere da quelle incognite, da quegli ‘imponderabili irrazionali’ che ne sono la causa efficiente.

Se, dunque, la volontà e l’azione degli altri attori non gli sono note, se incerto e ignoto è il futuro, l’azione dell’imprenditore non può essere chiaramente liberata dai rischi che essa stessa involge. Le responsabilità dell’imprenditore in quanto decisore e attore vanno però – avverte Pacces – separate dalle conseguenze della decisione e dell’azione in quanto entrambe sono opera del singolo, gli accadimenti opera del tutto. L’imprenditore sa di non sapere, ma sa anche che, di fronte ai problemi che la vita economica gli presenta, non può rimanere inerte: deve agire, e deve agire anche se l’azione comporta delle alee.

L’imprenditore, in altri termini, muove da dati razionali e procede con azioni logiche fin dove esse consentono di giungere, ma a un certo punto, non appena egli debba, per esempio, avventurarsi su mercati non perfettamente noti, è costretto a fare previsioni, che lasciano margini di incertezza più o meno grandi onde la previsione diviene spesso speculazione. Di fronte all’incertezza, tuttavia, “l’imprenditore non chiude gli occhi, non si butta nell’azione alla cieca […] Valuta il rischio, così come il capitano valuta il periglio e il ginnasta il salto: e quindi decide se agire o meno” (Pacces, 1951).

Tale giudizio di convenienza ha sempre un certo grado di complessità, basato com’è su elementi razionali, quali la conoscenza contabile e statistica, e su elementi soggettivi, come le caratteristiche e l’esperienza personale dell’imprenditore. È proprio questa eterogeneità di motivi, oggettivi e soggettivi, razionali e irrazionali, a creare intorno alla produzione un alone di mistero: all’aleatorietà insita nella funzione d’impresa, in altri termini, si aggiungono le alee dovute all’instabilità dei regimi politici e delle leggi, la precarietà dell’equilibrio internazionale e la tensione dei rapporti sociali.

La grande impresa lavora per ridurre il rischio

Si deve ad alcuni teorici americani la mitigazione del tema dell’incertezza imprenditoriale. La grande impresa, nell’immagine fornita da Kenneth Galbraith (1967), intervenendo sui fattori fuori dal proprio controllo e piegandoli al proprio volere, esercita sul mercato un vero e proprio dominio. La large company, infatti, dotandosi di opportuni strumenti informativi e previsionali, ma anche, e soprattutto, servendosi della programmazione, opera sistematicamente verso la riduzione del rischio (Castaldo e Gatti, 2020).

Se il futuro da opera del tutto diviene opera dell’impresa, la sua problematica tende a svanire, riducendosi a proiezioni nel tempo della sua azione: “Il calcolo delle probabilità, portato dalle astrazioni dei matematici alla concretezza dei calcolatori elettronici, ci consentirà di ridurre le ultime incognite a percentuali di rischio facilmente scontabili […]. Senonché non siamo ancora a questo punto” (Pacces, 1974).

Queste illuminanti considerazioni del precursore delle discipline aziendalistiche sono valide anche oggi, laddove i sistemi informatici degli Anni 70 hanno lasciato il posto a sofisticati tool di Intelligenza Artificiale. Le macchine intelligenti si sono fatte strada fino a entrare nella C-Suite e a supportare i Top manager nelle loro decisioni, fornendo previsioni sempre più accurate (Castaldo, 2020). Spesso però i Big data hanno finito, paradossalmente, per aumentare la complessità sistemica che erano predeterminati a ridurre, e men che mai siamo pervenuti all’annientamento dell’ineliminabile imponderabilità. L’impresa non ha ancora vinto il futuro, per usare le parole del maestro.

Occorrono leadership, vision, creatività e azione

Abbiamo affermato che l’epoca nella quale viviamo è super complessa e incerta, ma anche iperveloce e ambigua. Destreggiarsi in un mondo siffatto è difficile e tutte le certezze conquistate nel passato paiono venire meno. Si potrebbe certamente concordare sul fatto che un buon punto di partenza per muoversi proficuamente in un’arena ultra complessa sia l’esatta comprensione del contesto nel quale ci si trova a operare, ma data la mutevolezza e vischiosità di quest’ultimo le ricette tradizionali potrebbero non funzionare. Del pari, scegliere velocemente e implementare altrettanto rapidamente le decisioni è divenuto, soprattutto nelle imprese, un imperativo categorico.

Una bussola per orientarsi nelle acque agitate del sistema-mondoattuale potrebbe essere quella offerta dalla figura classica dell’imprenditore, sovente rappresentato come un ‘artista’, ma anche come un ispiratore e visionario. E infatti, mai come oggi, occorrono proprio queste caratteristiche: leadership, vision, creatività, unite al proverbiale decisionismo dell’imprenditore. Non rimanere immobili, inerti, ma agire, e agire anche se l’azione comporta delle alee. Questa è la lezione dell’imprenditore da tenere a mente. Se si scelgono itinerari sbagliati per navigare nel mare mosso, si può sempre tentare di correggere la rotta.

Per dirla in altri termini, occorre partire dalla comprensione del contesto in cui ci si muove, nella consapevolezza della sua fluidità e mutevolezza, con il grande bagaglio dell’esperienza pregressa che deve essere però un fardello leggero, pronto a essere lasciato in qualunque momento. Fuor di metafora, oggi più che mai, i modelli tradizionali e le soluzioni, non solo di business, andrebbero, se non dimenticati, quantomeno accantonati per fare spazio a nuove idee, rinnovati approcci e percorsi d’azione.

 

* L’articolo è stato scritto da Angelo Volpe e Francesca Castaldo

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Gennaio-Febbraio 2021 di Sviluppo&Organizzazione.
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