Emma Marrone

Discriminazioni di genere e lavoro dignitoso, la lezione di Emma Marrone

Nonostante i (piccoli) progressi sperimentati negli ultimi anni, nel mondo del lavoro le discriminazioni nei confronti delle donne, l’uso di un linguaggio inappropriato e il divario di genere persistono ancora. Questo fenomeno non solo viola i diritti fondamentali e limita la libertà delle persone, ma ha anche conseguenze significative dal punto di vista economico e sociale. La penalizzazione in ambito lavorativo di determinati generi – in qualunque forma si espliciti – intensifica le disuguaglianze, opprime le opportunità e conduce a una dispersione delle potenzialità umane utili per il progresso economico.

La pandemia ha poi accentuato gli squilibri. Una ricerca di luglio 2021 dell’International labour organization dal titolo Building forward fairer: women’s rights to work and at work at the core of the covid-19 recovery mostra, infatti, che le donne durante l’emergenza sanitaria hanno subìto perdite occupazionali e di reddito sproporzionate rispetto agli uomini a causa della loro maggiore rappresentanza nei settori più colpiti dalle conseguenze delle misure di contenimento della pandemia, come i servizi di alloggio e ristorazione: a livello globale tra il 2019 e il 2020, l’occupazione femminile è diminuita del 4,2%, con un calo di 54 milioni di posti di lavoro, mentre quella maschile è scesa ‘appena’ del 3%. Più precisamente, secondo gli ultimi dati dell’Istat disponibili, il tasso di occupazione delle persone tra i 15 e i 64 anni è del 48% circa per le donne e del 67% per gli uomini; quello di disoccupazione nella stessa fascia è rispettivamente del 10% e dell’8%; il tasso di inattività, invece, è del 46% per le donne e del 26% per gli uomini. Inoltre, una donna su due non è né occupata né in cerca di lavoro.

Fin qui i dati di discriminazione di genere; ci sono poi quelli legati all’utilizzo di un linguaggio pungente e poco decoroso nei confronti delle donne (spesso chi lo usa si cela dietro un rapido: “Si stava scherzando”): secondo i dati Istat del 2016, in Italia 1,4 milioni di donne fra i 15 e i 65 anni ha subìto molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro nel corso della vita professionale. Del resto, il body shaming – l’atto di deridere una persona o farla sentire ‘inadeguata’ per il suo aspetto fisico – è oggi piuttosto diffuso.

L’inclusività passa anche dal linguaggio

Uno degli ultimi casi è quello della nota vicenda che ha visto il giornalista Davide Maggio criticare l’outfit di Emma Marrone: “Se hai una gamba importante, eviti”, ha detto in una diretta Instagram riferendosi alla scelta della cantante di indossare delle calze a rete sul palco del Festival di Sanremo. “Ragazze, il vostro corpo è perfetto così com’è”, ha risposto decisa Marrone, lanciando un messaggio di sensibilizzazione affinché ogni donna si senta serena nel decidere come vestirsi e mostrare il proprio corpo. Curioso che la cantante abbia portato al concorso della canzone italiana un brano legato proprio alla libertà e all’espressione di genere…

Ma sono diverse le questioni che oggi emergono a proposito del linguaggio. Tra queste, è recente quella di Jovanotti, che sul palco di Sanremo ha definito “un grandissimo poeta” (declinato al maschile) la poetessa Mariangela Gualtieri, sostenendo che “la parola poeta non ha genere”. La vicenda non è passata inosservata e ha sollevato alcune critiche. In effetti, a ben vedere, la lingua italiana prevede la declinazione al femminile del termine, ma, come si nota, l’utilizzo del ‘maschile sovraesteso’ è spesso confuso con il ‘genere neutro’ che in italiano però non esiste. “A Sanremo ho sbagliato, non ho spiegato bene perché ho definito Mariangela Gualtieri ‘un poeta’: dopo aver letto una sua raccolta le avevo scritto, ‘Cara poeta’, e lei aveva detto che amava essere definita così”, è stata la (seconda) spiegazione di Jovanotti.

L’episodio ha imposto utili riflessioni che conducono alla diffusione di consapevolezza sul tema. Il cantautore ha infatti ragionato, a questo proposito, in un’intervista sul quotidiano La Stampa: “Su internet ci sarà sempre qualcuno pronto a indignarsi. Non mi sorprende e anzi mi interessa: sono sintomi, segnali. Lo scontro sulle parole è dato dal fatto che sono tornate al centro”. Jovanotti ha inoltre spiegato di “dare retta alle parole della figlia Teresa quando lo corregge” nell’utilizzo del linguaggio, visto che la giovane appartiene alla Generazione Z che “vive le tematiche di genere diversamente” rispetto ad altre fasce d’età: si tratta infatti di una generazione che, più che accentuare le differenze, le normalizza.

“Mi auguro solo che per affermarti tu non debba assumere atteggiamenti maschili perché sono quelli dominanti”, ha detto. L’uso e la scelta delle parole non solo trasmettono un messaggio importante, ma costruiscono e definiscono il mondo che ci circonda: “L’atteggiamento maschile ha imposto nel linguaggio parole belliche riferite a tutto; bisogna cambiarlo. Se lo facciamo, cambia la realtà”, è il Jovanotti pensiero.

Gli svantaggi delle donne in termini di potere economico e responsabilità

Queste discriminazioni hanno però origini ben più profonde. Per sconfiggere le disparità di genere e diffondere consapevolezza, Fondazione Libellula, l’iniziativa promossa da Zeta Service, agisce proprio sul piano culturale per prevenire e contrastare la discriminazione e la violenza sulle donne partendo dagli ambienti di lavoro. Libellula, infatti, riunisce in una rete alcune aziende (tra cui anche la casa editrice ESTE, editore del quotidiano Parole di Management), unite contro le diseguaglianze. “Attraverso la decostruzione degli stereotipi, l’empowerment delle donne, lo sviluppo di un ambiente di lavoro inclusivo e uno sguardo attento al linguaggio siamo convinti di poter contribuire alla costruzione di una cultura fondata sul rispetto” spiega Alessandra Matere, Trainer Consultant e Counselor di Fondazione Libellula.

Se si trasforma il mondo che ci circonda, forse, si può auspicare anche alla normalizzazione della diversità e alla parità di genere, nella vita quotidiana e in ambito professionale. È nota, per esempio, la fragilità del lavoro femminile, dovuta al fatto che in percentuale le donne sono maggiormente occupate in lavori precari o nel lavoro domestico, definito in gergo “lavoro di cura”, che impegna una grande porzione di tempo e non prevede nessuna retribuzione. Secondo i dati Istat le donne tra i 25 e i 44 anni, in coppia con figli e occupate come il partner, dedicano mediamente al lavoro familiare non retribuito cinque ore al giorno (gli uomini, invece, ne dedicano circa due). “Ignorare questo meccanismo non solo è ingiusto, ma controproducente in una prospettiva economica e di efficienza”, è la tesi di Matere.

Lo confermano anche i dati: secondo la Banca d’Italia, se il tasso di occupazione delle donne italiane in età lavorativa arrivasse al 60% (ora siamo al 49%), il Prodotto interno lordo (Pil) italiano crescerebbe del 7%. La questione pare rilevante, tanto che uno degli obiettivi a cui punta il Piano nazionale ripresa e resilienza (Pnrr) è quello di superare la soglia del 60% entro il 2023; si cerca di raggiungere lo scopo attraverso una serie di stanziamenti diretti e indiretti del valore di 38,5 miliardi di euro, di cui 3,1 in misure mirate alle donne e gli altri 35,4 destinati a provvedimenti indirettamente riconducibili al riequilibrio di genere (per un totale del 20% dello stanziamento complessivo).

Oltre a essere meno occupate e a dedicarsi maggiormente al lavoro domestico, le donne sono poi impiegate in settori meno retribuiti: da un’indagine di AlmaLaurea del 2019 sul profilo dei laureati, per esempio, emerge che nell’ambito dell’insegnamento il 93% è donna, in quello linguistico l’84% e in quello psicologico l’81%. Nel settore dell’ingegneria, invece, soltanto il 26% è donna e in quello scientifico il 29%. È noto, infatti, che le professioni legate alle discipline scientifiche (chiamate anche “Stem”, acronimo di Science, technology, engineering and mathematics), sono appannaggio principalmente delle scelte di un uomo.

Questo porta loro svantaggi in termini di potere economico e di successo professionale che si riflette anche nella possibilità di ricoprire ruoli apicali. “Le differenze in termini di carriera trovano riscontro anche rispetto a potere e responsabilità”, puntualizza l’esperta. Dai dati Censis del 2019 emerge che in Italia il 27% dei manager è donna e in Europa il 34%. In politica, invece, secondo gli studi di Un women, l’ente delle Nazioni unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile, 10 Paesi al mondo su 193 hanno una donna come capo di Governo; dei parlamentari di tutto il mondo – stando alle analisi dell’Unione interparlamentare – il 14% è donna.

Le disparità derivano da comportamenti strutturali

Il problema, come detto, è culturale. È necessario decostruire gli stereotipi a livello strutturale, partendo dalle piccole azioni quotidiane; d’altra parte, le micro-discriminazioni di solito sono basate su modelli e schemi precostituiti – per lo più molto rigidi – che rischiano di ingabbiare la possibilità dei differenti generi di esprimere le proprie potenzialità. I dati Istat riferiscono che il 32% delle persone pensa che sia più importante per l’uomo avere successo in ambito lavorativo e il 31% ritiene che gli uomini siano meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche. È da questi preconcetti che si giunge all’attuazione di comportamenti discriminatori inconsapevoli.

“Gli stereotipi sono modelli di condotta e idee preconcette socialmente costruite sul genere maschile e su quello femminile; definiscono in modo generalizzato e semplificato come debbano sentirsi, agire, vestirsi, pensare e rapportarsi fra loro uomini e donne, indipendentemente da quale sia la reale attitudine, personalità, ambizione del singolo individuo”, conferma Matere. L’esperta poi chiarisce che gli stereotipi non solo diventano delle lenti attraverso cui guardiamo il mondo e le persone, ma anche tramite i quali vediamo noi stessi: ecco perché limitano la possibilità di espressione personale.

Questo si traduce in un immaginario nel quale esistono posizioni o professioni ‘da uomini’ e ‘da donne’. Ma oggi si può affermare che questo è un pensiero distorto. Siamo inseriti in un sistema che veicola specifiche aspettative rispetto al maschile e al femminile in termini di ruolo, caratteristiche e qualità, comportamenti attesi, ambiti di azione e competenza. “Le narrazioni differenti per ciascun genere generano effetti anche sul lungo termine, come polarizzazione nelle scelte di studio, gap salariale, squilibrio nel rapporto tra i sessi, divisione dei ruoli di cura in famiglia”, conclude Matere. La lotta alla discriminazione, dunque, è parte essenziale della promozione del lavoro dignitoso, ma serve partire da una base culturale che sradichi rappresentazioni rigide (e svilenti).

Fondazione Libellula, Emma Marrone, body shaming, discriminazione di genere, Jovanotti


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Federica Biffi

Laureata magistrale in Comunicazione, Informazione, editoria, classe di laurea in Informazione e sistemi editoriali, Federica Biffi ha seguito corsi di storytelling, scrittura, narrazione. È appassionata di cinema e si interessa a tematiche riguardanti la sostenibilità, l'uguaglianza, l'inclusion e la diversity, anche in ambito digital e social, contribuendo a contenuti in siti web. Ha lavorato nell'ambito della comunicazione e collabora con la casa editrice ESTE come editor e redattrice.

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