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FabbricaFuturo Italia, c’è ancora futuro per la Manifattura

C’è ancora futuro per la Manifattura? È la domanda alla quale ha cercato di rispondere FabbricaFuturo Italia, l’iniziativa editoriale promossa dalla rivista Sistemi&Impresa e dalla casa editrice ESTE, di cui Parole di Management è stato Media Partner. Spoiler: sì, nel futuro ci sarà ancora la fabbrica. A patto, però, che si inizino a prendere le contromisure rispetto ad alcune questioni, cruciali per la Manifattura. Una su tutte: gli investimenti in ricerca e sviluppo (R&D).

Andiamo con ordine. Fondamentali sono i dati che fotografano lo stato dell’arte della manifattura. Come spiega Franco Mosconi, Professore Ordinario di Economia e Politica Industriale dell’Università di Parma, il primo dato da considerare per tastare il polso dell’industria, riguarda l’export. Negli ultimi 10 anni (2012-2022), mentre la Cina ha aumentato la sua quota di export (dal 16,2% al 17,6%) e il ‘Resto del mondo’ ha sfiorato il 50% (49,1% dal 42,3% di una decade fa), l’intera Unione europea è calata dal 14,7% al 13,2%. Nonostante la perdita di quote di export, gli analisti sono d’accordo nel ritenere il dato Ue una “quota robusta”, in particolare di fronte ai cali di Usa (XXX) e del Giappone.

Analizzando le performance di singoli Paesi, le rilevazioni Unido (l’agenzia dell’Organizzazione delle nazioni unite che si occupa di industria), indicano che in cima alla classifica della produzione industriale è la Cina (4,8 trilioni di dollari), seguita dagli Stati Uniti (2,8 trilioni). E l’Italia? Il nostro Paese è settimo nel mondo, con 400 miliardi di dollari, secondo solo alla Germania (800 miliardi) nel confronto europeo: ecco perché possiamo ancora definirci il “secondo Paese manifatturiero d’Europa”. Guardando i dati aggregati – e questo è un altro aspetto positivo per la nostra industria – l’Ue è la terza potenza manifatturiera dopo Cina e Usa, ma a poca distanza dai secondi.

Scendendo ancora di livello e guardando nello specifico all’Italia, sono i dati Istat 2025 a darci una panoramica rispetto ai settori e alle loro performance del nostro Paese. Appena tre sono quelli che valgono almeno il 10% del Prodotto interno lordo italiano: Macchine e apparecchiature (13,8%), Prodotti di metallo (12,7%) e Alimentari e bevande (10%). In sintesi vuol dire che altri settori per i quali siamo ancora conosciuti nel mondo per i nostri prodotti ‘belli e ben fatti’, come l’Automotive e la Moda, valgono meno del 10% del Pil.

Servono investimenti robusti in R&D

Ma veniamo alla vera nota dolente che, però, racchiude in sé anche la soluzione al problema (o per lo meno una strada per il rilancio della Manifattura). Per capire il futuro dell’industria è, infatti, necessario considerare gli investimenti in R&D: è da questi numeri, come sostiene Mosconi, che si capisce se un Paese guarda al domani oppure rischia di finire nella spirale autocelebrativa che porta al declino.

Secondo i dati Eurostat, le aziende dei Paesi più virtuosi investono circa il 3,5% del fatturato in R&D; la media Ue è del 2,2%, nonostante Bruxelles si sia data l’obiettivo di arrivare almeno al 3%. In questa classifica, l’Italia è al 17esimo posto tra i Paesi Ue. È questo il vero campanello d’allarme che ci riguarda, insieme con il 21esimo posto di maturità digitale dell’indice Desi, l’indicatore che misura le conoscenze digitali nei Paesi Ue: se non si investe nell’innovazione – e se non la si misura rispetto al fatturato generato dai nuovi prodotti, come suggerisce Gianni Dal Pozzo, Amministratore Delegato di Considi – difficilmente la Manifattura italiana resterà ai vertici, almeno europei.

Dunque, qual è la soluzione? Ovviamente aumentare la quota di investimenti in R&D, ma non solo. Mosconi suggerisce di investire anche in conoscenza. Questo, come propone Dal Pozzo, consentirà di ‘pensare out of the box (lo stesso suggerimento è lanciato da Luigi Consiglio, CEO di Eccellenze d’Impresa). “Si può resistere, ma poi tenere il punto si pagherà”, è la tesi di Patrizio Bianchi, ex Ministro dell’Istruzione, mettendo in guardia chi non vuole accettare che tutto sia cambiato rispetto al passato.

Siamo immersi in una rivoluzione, come suggerisce nel suo libro Terra incognita Sebastiano Barisoni: a differenza delle crisi dalle quali si torna indietro e che rappresentano delle parentesi rispetto alla ‘normalità’, le rivoluzioni si possono solo accettare come un nuovo scenario da affrontare. Usare gli strumenti del passato e ‘resistere’ potrebbe non essere la soluzione ideale. E quindi ci sarà futuro per la fabbrica? Sì, dando le risposte (giuste) alle sfide che sono sotto gli occhi di tutti.

FabbricaFuturo, manifattura, fabbrica


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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

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