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Il benessere all’interno dell’impresa, quattro ipotesi sulla felicità al lavoro

È possibile la felicità nell’esperienza di lavoro? Non sembra realistico negare che il lavoro sia intrinsecamente legato anche alla fatica, alla difficoltà del confronto con il reale e con la sua resistenza e con gli altri, talvolta anche allo stress e alla sofferenza.

Tuttavia è importante non dimenticare che nella nostra società il lavoro resta una sfera centrale della vita, anzi, per molti di noi, a torto o a ragione, la sfera centrale, dalla quale dipende molto del nostro equilibrio identitario e psicologico, del nostro benessere e perché no, della nostra felicità o infelicità.

In questo articolo esploro alcuni temi che sembra realistico mettere in relazione con la felicità nel lavoro. Data l’ampiezza del tema vorrei semplicemente evidenziare alcuni aspetti che non sempre sono tenuti nella dovuta considerazione quando ci si interroga sui temi del benessere e della felicità nel lavoro.

Sono aspetti che si possono tutti definire come variabili intrinseche all’esperienza del lavoro: mi terrò in questo articolo infatti al di fuori del territorio delle dimensioni estrinseche, quello della total compensation, dell’insieme degli elementi che costituiscono lo scambio economico tra la persona e l’organizzazione.

La natura del lavoro

Penso sia importante avviare la riflessione ponendosi una domanda inusuale, data l’apparente ovvietà della risposta: cos’è il lavoro? Il lavoro non appartiene alla sfera della mera attività e della produzione, ma possiede a pieno titolo lo statuto dell’agire.

Il lavoro, inevitabilmente e intensivamente, mobilita l’agire morale e pratico orientato al vivere insieme e l’agire espressivo, che mette in gioco profondamente le dimensioni identitarie. Il lavoro si sviluppa in tre sfere interdipendenti –quella fisica, quella sociale e quella soggettiva– e può essere pensato e valutato solo attraverso criteri e categorie che si riferiscano a tutte queste diverse sfere della vita.

Il lavoro come confronto con il reale, con la sua resistenza, convoca in profondità l’intelligenza e il coinvolgimento della soggettività; esso implica dei gesti, un saper fare, un coinvolgimento del corpo, una mobilitazione della capacità di riflettere, di interpretare e di reagire alle situazioni, nonché di agire, anche nel senso politico, assumendo iniziative.

Lavorare è collocarsi al centro della divaricazione perenne tra il prescritto e il reale, è cercare di colmarla interpretando le prescrizioni per raggiungere gli obiettivi. Esso non è quindi una mera opera di produzione, ma è al contempo interpretazione del reale, agire creativo, trasformazione di se stessi.

Si lavora sempre con altri e per altri: il lavoro è sempre un’attività sociale, cooperativa e collettiva. Per tutti questi motivi il lavoro è uno spazio insostituibile di mediazione psicologica e identitaria. Il lavoro è il solo principio pacificatore nella vita ordinaria, uno spazio nel quale l’uomo apprende a negoziare, costruire una regola condivisa, scopre la vita sociale e al contempo accresce la propria padronanza del mondo.

Il lavoro permette agli uomini di incontrarsi, di vivere in condivisione, di evitare la violenza confrontandosi insieme con il reale, immaginando delle soluzioni, trovando dei compromessi e costruendo solidarietà che istituiscono le regole della convivenza.

Sulla base di queste premesse appare evidente come l’esperienza di lavoro possa collegarsi molto strettamente con la questione della felicità riconoscendo che, in certe condizioni, il lavoro è un mediatore indispensabile della realizzazione di sé e quindi anche della possibilità della felicità, ma in altre condizioni la possa seriamente compromettere, disonorando eticamente il lavoratore o destabilizzandolo nella sua identità anche con gravi conseguenze psicologiche, cliniche ed esistenziali.

L’ipotesi che propongo all’attenzione dei lettori è che la possibilità della felicità, o almeno il contenimento dell’infelicità nel lavoro, sia collegata a quattro aspetti dell’esperienza lavorativa: il piacere di pensare e di esercitare la propria intelligenza; il riconoscimento del proprio contributo; la sostenibilità psico-fisica dell’esperienza di lavoro; la qualità etica dell’esperienza di lavoro.

Questi quattro aspetti indicano anche delle direzioni di lavoro rilevanti per una gestione delle risorse umane che proponga di farsi carico della questione della felicità nelle organizzazioni. Proviamo di seguito a esplorare questi sentieri.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Novembre 2019 di Persone&Conoscenze.
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benessere al lavoro, felicità lavorativa, mondo del lavoro, gestione risorse umane, total compensation

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