Il Covid brucia posti di lavoro e gli italiani tornano migranti

Pur di lavorare gli italiani tornano al passato e si dicono disponibili a lasciare l’Italia. Meglio se virtualmente, lavorando cioè in Smart working per aziende con sede all’estero. Se nel 2014 la percentuale dei lavoratori disposta a trasferirsi fuori confine alla ricerca di opportunità di lavoro era ferma al 59% (dato sceso al 55% nel 2018), nel 2020, complice la pandemia da Covid-19, i numeri dicono che il 90% degli italiani è disposto a cercare opportunità lavorative lontano dall’Italia. E il 71% valuta un impiego da remoto per aziende straniere senza una sede fisica in Italia. I numeri italiani sono nettamente in controtendenza rispetto a quelli globali: nel mondo la percentuale di persone propense a lavorare all’estero è calata in continuazione, passando dal 63,8% del 2014 al 57,1% del 2018, per arrivare al 50,4% del 2020.

A rivelarlo è stato il report di Boston Consulting Group (BCG) dal titolo Decoding global talent, onsite and virtual, la prima di tre ricerche sugli effetti del Covid sull’occupazione condotte in collaborazione con The Network, azienda che si occupa di selezione del personale online. D’altra parte in Italia l’emergenza sanitaria ha colpito duramente, con conseguenze anche nel mondo del lavoro. Secondo gli ultimi dati Istat, un anno di Covid ha fatto perdere al nostro Paese quasi 1 milione di occupati tra lavoratori dipendenti e autonomi; questo ha quindi indotto più persone a cambiare idea sulla possibilità di espatriare alla ricerca di fortuna.

Come la ricerca stessa di BGC ha sottolineato, per comprendere meglio la situazione italiana serve considerare l’accelerazione improvvisa dell’adozione dello Smart working. “L’emergenza sanitaria ha accentuato un fenomeno già avviato e ha favorito la transizione verso una nuova forma di mobilità, fondata su una modulazione del telelavoro, che rappresenta una nuova opportunità anche per le società, da impiegare, però, con attenzione”, ha affermato Matteo Radice, Managing Director e Partner di BCG.

Gli italiani preferiscono la Svizzera

Ma quali sono le destinazioni più desiderate dagli italiani che cercano lavoro all’estero? La meta preferita, secondo la ricerca citata, risulta essere la Svizzera, che in due anni ha superato il Regno Unito, scalato al secondo posto, e la Germania, ferma al terzo. Ma non solo: il Paese elvetico è anche in cima alla classifica delle destinazioni che gli italiani considerano per lavorare a distanza, ancora prima di Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Francia.

Nella media globale, invece, il 24% degli intervistati sceglie il Canada; una buona gestione della pandemia e condizioni favorevoli contribuiscono al posizionamento del Paese al primo posto. Per lavorare da remoto, però, la destinazione preferita è rappresentata dagli Stati Uniti (25% delle preferenze), seguiti da Australia e Canada (22%) e, al quarto posto, dalla Germania (19%).

E l’Italia? Nonostante la propensione degli italiani disposti a lasciare il Paese per cercare lavoro, la Penisola resta una destinazione molto apprezzata dagli stranieri, in particolare da albanesi, spagnoli, rumeni e turchi. Ma pure dagli svizzeri che sembrano voler percorrere all’inverso la rotta degli italiani. La città prediletta è Roma (al 25esimo posto nel mondo per attrattività), che batte Milano (che si colloca al 41esimo).

Gestire le criticità a livello contrattuale e salariale

Con la diffusione dello Smart working, dunque, si sono aperte nuove opportunità lavorative che consentono addirittura di non doversi neppure trasferire per lavorare. Per le aziende, avere una forza lavoro virtuale dislocata in più Paesi presenta certamente molti vantaggi: riduzione dei costi, gestione del tempo e dello spazio e miglioramento del work-life balance, maggiore autonomia (e responsabilità), aumento della motivazione e della soddisfazione per i dipendenti e, perché no, arricchimento culturale.

Tuttavia, lo Smart working presenta alcune criticità a livello contrattuale e salariale. Ma soprattutto, si deve adattare alle regolamentazioni del Paese, evitando differenze tra i lavoratori. “Il rapporto di lavoro deve rispecchiare la specificità delle leggi di ogni Paese e al tempo stesso garantire una formula uniforme ai dipendenti. L’attenzione deve essere rivolta anche alle possibili conseguenze dei diversi fusi orari sull’equilibrio organizzativo”, ha continuato Radice. “Ciò non toglie che sia aziende sia dipendenti sono pronti e, anzi, desiderosi di attuare questi cambiamenti. E la direzione generale sembra ormai essere stata imboccata”. Le difficoltà, dunque, sembrano poter essere superate senza troppi ostacoli.

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Federica Biffi

Laureata magistrale in Comunicazione, Informazione, editoria, classe di laurea in Informazione e sistemi editoriali, Federica Biffi ha seguito corsi di storytelling, scrittura, narrazione. È appassionata di cinema e si interessa a tematiche riguardanti la sostenibilità, l'uguaglianza, l'inclusion e la diversity, anche in ambito digital e social, contribuendo a contenuti in siti web. Ha lavorato nell'ambito della comunicazione e collabora con la casa editrice ESTE come editor e redattrice.

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