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La carica delle nomine italiane in Ue, un messaggio di fiducia per le PMI

Fino a poche settimane fa, a fare da ‘sponda’ al nostro Paese c’era un italiano, Mario Draghi, alla guida della Banca centrale europea (Bce). Ora che il testimone è passato alla francese Christine Lagarde, cosa cambierà per l’Italia, che perde un uomo forte in una posizione chiave?

Per il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, non c’è da preoccuparsi: il nostro Paese, infatti, durante le riunioni del Fondo monetario internazionale (Fmi), non viene più considerato come un fattore di rischio per l’economia mondiale. “Vi sono netti miglioramenti percepiti dai mercati, per quel che riguarda la situazione delle banche, la riduzione dei crediti deteriorati e, soprattutto, il clima di relazioni con i nostri partner europei e con gli organismi internazionali”.

Tuttavia, è lecito aspettarsi che qualcosa cambi. Secondo l’economista Andrea Fumagalli, Docente di Storia dell’Economia Politica all’Università di Pavia, il rischio maggiore è che ci possano essere rigidità sul debito, che si traducono concretamente nella vita quotidiana delle aziende, come una maggiore difficoltà di accesso al credito. All’uscita di Draghi fa però da contraltare l’arrivo, in posizioni apicali, di economisti e politici italiani: Paolo Gentiloni come Commissario europeo agli Affari economici e monetari, Irene Tinagli, Presidente della Commissione Affari economici e monetari del Parlamento Ue, e David Sassoli, eletto Presidente del Parlamento europeo.

“Draghi ha avuto un ruolo fondamentale per l’Italia, con la politica del Quantitative easing che ha portato alla riduzione degli oneri per gli interessi sui debiti. Il rischio è che queste politiche possano essere ridimensionate con Lagarde nel medio periodo, una scelta che non farebbe bene all’economia italiana”, spiega Fumagalli. All’interno della Bce, in realtà, una ‘sponda’ per l’Italia c’è ancora ed è rappresentata dalla conferma dell’economista Andrea Enria, con il ruolo di Responsabile delle Politiche di Vigilanza, una figura fondamentale per gestire gli equilibri tra le necessità degli Stati.

Un ruolo importante per Gentiloni

Le più grandi attese delle Piccole e medie imprese (PMI) sono riposte nelle deleghe ottenute da Gentiloni, che potrebbe trovarsi a gestire alcuni dossier considerati vitali per le imprese come quello sulle delocalizzazioni. “L’ex Primo Ministro ha il compito di fare da ponte con l’Europa, per spingere la possibilità di usare margini di flessibilità nella gestione del bilancio pubblico, elemento importante sul piano della stabilizzazione dei conti e sul piano macroeconomico”, aggiunge Fumagalli.

Per quanto riguarda i programmi di politica industriale, però, Gentiloni si troverà ad affrontare un problema fondante dell’Europa: l’unità monetaria in contrasto con il fatto che spetta ai singoli Stati prendere decisioni, per esempio, in merito alle politiche fiscali, del lavoro e dell’innovazione. “Considerando che il 70% dell’interscambio in Europa avviene all’interno dei confini dell’Ue, senza unità anche sulle politiche economiche, è inevitabile che si creino situazioni di dumping e di competizione interna. Senza una macchina di regia a livello europeo, non sussiste alcuna forma di controllo sui casi di delocalizzazione, dismissione e spostamento degli impianti. E questo ha conseguenze per tutta la filiera”.

Ne deriva la constatazione che, così come è impostata l’Ue, le opportunità migliori sono riservate alle grandi imprese, mentre è più complicato per le piccole districarsi nei rischi della competizione globale.

Salvatore Biasco, Docente di Economia Internazionale all’Università Luiss, allarga la visione sui vantaggi che potrebbero trarre le aziende italiane, approfittando della credibilità e del ruolo di Gentiloni. “Può essere una figura importante per introdurre in Europa la convinzione che serve una gestione della domanda effettiva e, quindi, della crescita.

Vorrei che spingesse per uscire dall’idea della politica dell’offerta e ribadisse il bisogno di quella della domanda, che si tradurrebbe in un bilancio pubblico europeo che può spendere in deficit finanziato con eurobond”, spiega l’ex Vicepresidente della Società Italiana degli Economisti, che sostiene anche che andrebbero rivisti gli aiuti di Stato. “Un Paese ha diritto a proteggersi rispetto a comportamenti aggressivi da parte di multinazionali che chiudono impianti, nonostante siano profittevoli.

Gentiloni può portare avanti una battaglia per un’exit tax che dovrebbe essere rivendicata da Paesi che subiscono le delocalizzazioni”. Un provvedimento che potrebbe aiutare a fermare i grandi gruppi, che all’improvviso decidono di abbandonare i siti produttivi italiani per spostarli altrove – Whirlpool, Embraco, Pernigotti sono solo gli ultimi esempi – creando un grave danno non solo ai lavoratori, ma anche a tutte le piccole imprese fornitrici che hanno come committenti queste multinazionali e si trovano all’improvviso senza un cliente vitale. Quanto effettivamente contano le nomine italiane in Europa lo si vedrà, secondo gli esperti, nella gestione della crisi ex Ilva e dei rapporti con ArcelorMittal.

“Può dare una scossa positiva, se ben gestita. Potrebbe paradossalmente essere un’opportunità se il governo sarà così coraggioso da proporre una effettiva politica di riconversione ambientale, a partire dal settore dell’acciaio, ottenendo contributi e benefici dall’Europa, da estendere, poi, anche alle PMI”, spiega Fumagalli.

La nazionalità potrebbe non bastare

Sulle nomine italiane in Ue che dovrebbero aiutarci diversa è la posizione di Mario Deaglio, Professore emerito presso il Dipartimento di Scienze Economico-Sociali e Matematico-Statistiche dell’Università degli Studi di Torino, convinto che la nazionalità di coloro che ricoprono cariche a Bruxelles e Strasburgo non influisca sulle scelte a livello continentale.

“L’Europa in vari modi si rende conto che non è possibile lasciar fallire l’Italia. La crisi del nostro Paese avrebbe conseguenze gravissime per tutto il continente e va, dunque, evitata a tutti i costi. Non credo però che Draghi abbia avvantaggiato il nostro Paese in quanto italiano. Ha applicato principi generali di tipo espansivo, che consistono nel ‘fornire ossigeno’, ben sapendo che non rappresentano la cura definitiva: per guarire serve ben altro, ma sono tutte ‘medicine’ che esulano dalla sua competenza”.

Secondo Deaglio, Draghi ha avuto solo il compito di non lasciar ‘morire il paziente’, tuttavia “l’ossigeno l’ha dato a tutti, non solo all’Italia”. Il Docente torinese ritiene addirittura che la nomina di Gentiloni abbia uno svantaggio: “Gli è stato dato un mandato che, di fatto, rischia di metterlo in subordine rispetto ad altri commissari, in quanto dovrà occuparsi specificatamente dei problemi dei singoli rami d’industria, molto più che del discorso generale”.

Quindi, da questa tornata di nomine, ci si poteva aspettare di più. “Siamo stati ben considerati, sicuramente Gentiloni è una persona di valore, ma avremmo voluto che il suo mandato fosse più ampio”, prosegue Deaglio, che individua una strada per l’azione dell’ex Premier nei prossimi anni: “Abbiamo bisogno di proseguire con il piano, di promuovere aggregazioni di aziende europee, che riescano a competere a livello globale. Un esempio di come siamo rimasti indietro sul versante tecnologico è che abbiamo tutti in tasca smartphone statunitensi, cinesi, sudcoreani, ma quasi nessuno possiede un telefono europeo”.

Sulla necessità di creare dei ‘campioni’ europei, nei vari settori di mercato, che Gentiloni sicuramente porterà avanti, l’idea è che si facciano accordi di collaborazione o addirittura fusioni tra imprese di diversi Paesi. “Bisogna superare l’idea di confini che sono ormai solo delle barriere interne, quasi provinciali: servono strutture produttive che si proiettino nel mondo. Per l’Italia c’è anche un altro vantaggio, poco inteso in patria e molto più all’estero.

Noi otterremmo più facilmente la fiducia di governi di altri continenti, perché non siamo percepiti come ex potenza coloniale. Quando si tratta di affidare commesse, a parità di condizioni economiche, spesso asiatici e latino-americani preferiscono le imprese italiane anche perché il nostro Paese esercita una minore influenza politica”.

L’occasione del programma Horizon Europe 2021-27

Oltre a Draghi, l’Italia non potrà più contare su Federica Mogherini come Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Unione europea. Ma la ‘squadra’ italiana a Bruxelles e Strasburgo – come detto in precedenza – è composta anche da Sassoli, Tinagli e da alcuni alti funzionari, inseriti in ingranaggi chiave del meccanismo europeo, che si sommano a Gentiloni ed Enria. Seppur con alcune sfumature di pensiero, Fumagalli, Deaglio e Biasco sono convinti che Sassoli potrà fare ben poco per le imprese del proprio Paese. “Ha un ruolo più formale che sostanziale”, spiega Fumagalli.

“Sassoli”, aggiunge Biasco, “potrebbe spingere per provvedimenti favorevoli all’Italia, come una tassa europea sulle multinazionali o l’immigrazione, ma il Parlamento deve poi approvarli e, per quanto egli sia una persona autorevole, non può influenzare il voto. Mancano burocrati italiani in Europa, questo è un limite importante. Per rafforzare gli interessi del nostro Paese ne servirebbero di più”.

Tinagli, invece, ha come obiettivo principale quello di un Green New Deal, che spinga le imprese verso investimenti in sostenibilità ed economia circolare, oltre ad avere la possibilità concreta di attuare provvedimenti che indirizzino la crescita dell’economia nazionale.

Per le PMI, un’occasione importante sarà quella di programmare alleanze per provare a ottenere fondi nell’ambito di Horizon Europe, il prossimo Programma quadro europeo per la Ricerca e l’Innovazione, per il periodo 2021-2027. Con un budget di circa 100 miliardi di euro, è il più ambizioso programma di sempre, in questo campo. Uno degli obiettivi è incoraggiare la competitività industriale, la capacità innovativa e l’occupazione in Europa, migliorando l’accesso al capitale di rischio.

Un’occasione unica per intere filiere in trasformazione come quella dell’Automotive, chiamata a sostenere una sfida epocale come l’avvio delle motorizzazioni elettriche. Un comparto che conta 5.700 imprese e genera un fatturato di oltre 100 miliardi di euro l’anno e che, se vorrà rispettare gli obiettivi fissati dall’Ue e tagliare le emissioni del 40%, nei prossimi 10 anni dovrà investire 500 miliardi in Ricerca e Sviluppo.

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