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La giovane fuga (dal lavoro)

Partiamo dai dati: la popolazione è cresciuta dal 1940 al 2024 passando da 2,3 miliardi di persone a 8,2 miliardi. Eppure oggi si parla di crisi demografica globale per un fenomeno, definito da alcuni esperti come “inverno demografico”, che riguarda un numero crescente di Paesi che stanno sperimentando un calo della natalità, un invecchiamento della popolazione e una riduzione della forza lavoro disponibile.

Nel 2005 la popolazione mondiale era di circa 6,5 miliardi; da allora, è cresciuta di quasi 1,7 miliardi in 20 anni. Tuttavia, il ritmo di crescita è cambiato: il decennio 2005-15 ha visto una crescita sostenuta, trainata da Africa e Asia. Nel decennio 2015-25, invece, abbiamo assistito a un rallentamento evidente, con molti Paesi (Cina, Russia, Italia, Giappone) già in fase di declino demografico.

Secondo le Nazioni unite entro il 2080 è previsto il picco di circa 10,3 miliardi, cui seguirà una lieve contrazione: le proiezioni indicano che entro il 2100 la popolazione potrebbe stabilizzarsi o diminuire, con un forte impatto su economia, welfare e mercato del lavoro. Questo rallentamento è causato principalmente dalla diminuzione dei tassi di fertilità, che in oltre la metà dei Paesi è scesa sotto la ‘soglia di sostituzione’ di 2,1 figli per donna.

Quindi, seppur di fronte a un rallentamento è evidente che il numero di persone, in valore assoluto, sarebbe adeguato alle necessità delle imprese: invece, in Italia (ma il ragionamento vale per tutto il mondo occidentale), le aziende lamentano una carenza di lavoratori. Come è possibile tenere insieme una crescita della popolazione e una costante mancanza di profili tale da determinare una contraddizione in termini? Forse si tratta di una contraddizione apparente…

Le offerte di lavoro senza appeal

Nel 2025, otto aziende su 10 in Italia sono pronte ad assumere, ma il 40% dei lavoratori è insoddisfatto e il 51% è pronto a cambiare lavoro. Le cause principali sono: carenza di competenze (il 36% delle imprese segnala una riduzione dei professionisti disponibili nel proprio settore); bassi salari; scarse prospettive di carriera; mancanza di formazione e sviluppo professionale; difficoltà nel trattenere il personale, soprattutto giovani e profili intermedi.

Questa contraddizione nasce da un mismatch tra domanda e offerta: le aziende cercano profili qualificati, ma non riescono ad attrarre o trattenere i talenti, spesso per mancanza di condizioni lavorative e di vita adeguate. Ma c’è un altro elemento che vale la pena di considerare: la disponibilità di persone per le aziende che insistono su un territorio dipende dall’attrattività delle città.

In Italia, i territori che attraggono puntano su: qualità della vita elevata; servizi pubblici efficienti; università e centri di formazione competitivi; alloggi accessibili; opportunità lavorative concrete. Secondo uno studio di Aidp-Isfort, le città più attrattive nel 2025 sono: Milano, Bergamo, Padova, Trieste e Trento. Queste città combinano dinamismo economico, infrastrutture moderne e politiche locali efficaci, creando un ecosistema favorevole per giovani e imprese. Insomma, la competizione globale si è spostata dalle nazioni alle città.

I giovani cercano le città più attrattive

Le città più attrattive sono quelle che generano ricchezza e disponibilità di personale per l’economia. Per esempio, il progetto internazionale C40 Reinventing Cities coinvolge città come Milano, Barcellona, Oslo e New Orleans in una competizione per creare spazi urbani più inclusivi e sostenibili, con il coinvolgimento diretto di giovani e università.

Perché funziona il modello? È utile considerare qualche dato sul comportamento dei giovani in Italia. Secondo l’Istat, negli ultimi tre anni gli Under 35 che hanno deciso di lasciare l’Italia per andare all’estero è stato pari a 30mila, cioè un terzo dei circa 92mila italiani che hanno detto addio al nostro Paese (dati 2022). Negli anni il trend è rimasto stabilmente tendente al rialzo: nel 2023 gli espatri sono stati circa 95mila, con una quota crescente di laureati e nel 2024 il numero è salito a 97mila (l’età media di chi ha lasciato l’Italia è stata di 30 anni per le donne e 33 per gli uomini)

Nel decennio 2012-21, l’Italia ha perso circa 79mila giovani laureati, con un saldo negativo soprattutto nel Mezzogiorno. Le destinazioni principali sono state Germania, Regno Unito, Francia, Svizzera, ma anche Usa e Australia. Adesso sappiamo che le destinazioni non sono ‘l’estero’, ma le città attrattive. Anche l’Italia può fare molto, come dimostra il caso di Milano, la più Europea delle nostre comunità, ma è necessario riconoscere un modello cui tendere e raccogliere consensi sul da farsi.

Il vero mismatch non è tra domanda e offerta, dunque, ma tra aspettative e realtà. E la competizione globale non si gioca più tra Stati, ma tra città. Chi saprà offrire qualità della vita, servizi, formazione e opportunità concrete, vincerà la sfida del futuro.

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Luigi Bastianello

Luigi Bastianello

HR Manager con ampia esperienza del mondo Manufacturing. Studia e analizza i contesti sempre più mutevoli per supportare Persone e Business. Seleziona persone che in ogni ruolo possano contribuire con la propria peculiarità, promuovendo progetti e politiche retributive mirate a favorire il benessere e la meritocrazia diffusa. Da sempre affascinato dalla relazione tra Psicologia, Diritto e dal mondo Produttivo in generale. Lascia un impiego in una Agenzia per il Lavoro per conoscere come “si fanno le cose” e studiare l’amministrazione e le regole che ci stanno dietro.  Dopo la laura in Filosofia decide di frequentare – lavorando – un Master in Gestione Risorse Umane, studiando costantemente e mi documentandosi per approfondire il diritto del lavoro, le tematiche commerciali, di posizionamento del prodotto e l’organizzazione aziendale, abbracciando la filosofia lean.

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