La voce del(la) leader

Si dice che Margaret Thatcher si facesse aiutare da un vocal coach arrivato direttamente dal National Theater. La premier britannica non apprezzava il proprio timbro di voce, giudicato troppo alto e inadatto alla politica, e, secondo i racconti dei suoi biografi, arrivò ad abbassarlo di 46 hertz. Abbastanza per raggiungere un’impostazione di voce ‘rispettabile’ secondo i canoni del tempo.

L’emozione forse non ha voce, ma la leadership pare proprio di sì. E – neanche a dirlo – è comunemente riconosciuta nei tratti più tipicamente maschili: suoni gravi, frequenze più basse, timbri profondi. Per farsi ascoltare, alle donne non è servito alzare la voce, anzi. Secondo uno studio condotto da Cecilia Pemberton, Speech Patologist dell’Università dell’Australia meridionale, dal 1945 al 1990 il tono di voce nelle donne ha subito una modifica evolutiva e si è abbassato di circa 23hertz.

La ricerca ha messo a confronto due registrazioni di voci femminili tra i 18 e i 25 anni, effettuate la prima nel 1945 e la seconda nel 1993, per studiare i cambiamenti attraverso le generazioni. Nell’arco di quasi 50 anni, in un periodo che ha coinciso con il progressivo affermarsi delle donne ai vertici della società, la voce femminile è diventata più bassa e profonda.

A differenza del timbro adottato dalla prima ministra inglese, non si tratta qui di una strategia di marketing né di un’impostazione artefatta. Se i responsabili del Thatcher sound sarebbero in realtà tre uomini – il capo della campagna Tim Bell, il PR manager Gordon Reece e l’autore dei discorsi Ronald Millar, preoccupati più del suo accento che del timbro di voce – la trasformazione progressiva registrata da Pemberton è tutta femminile ed è avvenuta in modo inconscio.

Le donne tenderebbero, infatti, ad adattare più degli uomini il profilo vocale alle opportunità, forse convinte di dover seguire il modello virile per muoversi in ambienti tradizionalmente maschili. “La leadership è leadership, sia che la esprima una donna sia che la esprima un uomo”, sottolinea Cristina Melchiorri, CEO di Advanced Smart Solutions e autrice di Gocce di leadership. Riflessioni ed esperienze per un modello di leadership più sostenibile, edito da ESTE. “La leadership femminile, però, può offrire un modello diverso da quello tradizionale maschile, fatto di comando e controllo, affiancando alla parte top down una bottom up ispirata alla condivisione con il team”.

Riconoscere gli stereotipi e trovare il giusto ‘colore’

La voce, secondo Melchiorri, gioca un ruolo fondamentale nel definire un leader, un po’ come il suo abbigliamento. Basti pensare alla ‘divisa’ della cancelliera tedesca Angela Merkel, fatte di giacche rigorose, ma dai colori sempre diversi, in cui forte è l’imprinting da fisica della DDR. Le donne, più degli uomini, devono quindi essere consapevoli delle regole del gioco. Non per adattarsi passivamente, ma per riconoscerle. “Diamo un nome allo stereotipo: nel caso della voce, questo ci vuole autorevoli soltanto quando siamo in grado di parlare con un timbro quasi maschile, usando un tono medio e non acuto. L’autorevolezza passa anche per la capacità di esprimersi in modo chiaro e sintetico, facendo un uso consapevole e intenzionale della voce. È un grande strumento di potere e di seduzione, così come il sorriso e lo sguardo”.

La voce, infatti, può essere modulata secondo le circostanze e declinata su una molteplicità di sfumature. In base alla teoria dei colori elaborata dallo psicologo, doppiatore e attore Ciro Imparato, ogni voce assume un colore differente in relazione al messaggio che vuole trasmettere. La voce blu è quella più seria e ufficiale, è la voce del notiziario: tono alto, timbro neutro, ritmo sostenuto. Verde è invece la voce della calma: ha un tono più basso, un modo più lento di parlare e scandisce bene le parole.

“Tutti i leader e soprattutto le donne, che hanno per natura un timbro vocale alto, dovrebbero allenarsi a usare un timbro medio-basso”, suggerisce Melchiorri. “La voce verde è anche la voce della rassicurazione: non è la voce blu dura di un capo scostante e autoritario, ma esprime uno stile di leadership più morbido e, appunto, rassicurante. Una dote che la donna che aspira a essere leader può usare molto bene”. Meglio star lontani, invece, dalla voce grigia – monotona e apatica, è il timbro dell’unwilling, ovvero delle conversazioni che nessuno ha voglia di sostenere – e dalla voce gialla, poco adatta ai contesti di lavoro – ritmo veloce e acuto, tipica delle situazioni di festa, punta a staccarsi da tutte le altre.

In ufficio capita spesso di incappare nell’uso della voce nera: è il suono della rabbia, un timbro duro e aggressivo. Le parole vengono pronunciate in modo ravvicinato e con un tono di voce elevato, è un tipo di comunicazione che trasmette rabbia e produce frustrazione in chi la ascolta. “Spesso la usano anche le donne in posizione di leadership, quando vogliono rimproverare”. Da ultimo c’è la voce rossa, quella dell’emozione profonda: un tono più basso, un ritmo più lento, un maggior calore che nasce a livello addominale. È la voce che si usa quando si parla di sentimenti, ma anche sul lavoro quando è necessario chiedere scusa.

Questi strumenti li hanno tutti gli esseri umani”, ricorda Melchiorri. Spesso, però, si continua ad associare l’idea di leadership a una faccia seria e una mascella squadrata piuttosto che a un atteggiamento di calma e disponibilità all’ascolto. “Per essere leader l’uomo dovrebbe al contrario fare ricorso a quella percentuale di femminilità, cioè di empatia, che ha in sé. E noi donne dovremmo fare consapevolmente e intenzionalmente ricorso a quel 20 o 30% di ‘mascolinità’ che abbiamo dentro. Che significa poi operare e comunicare con autorevolezza”.

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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