Lotta di genere, l’eredità di Shirley Young per le pari opportunità

La storia della manager Shirley Young che si è scontrata con le barriere di senso per essere se stessa: lavoratrice e madre.

“Noi, gli eredi di un Paese e di un tempo in cui una minuta ragazzina nera, discendente di schiavi e cresciuta dalla sola madre, può sognare di diventare presidente e intanto ritrovarsi a recitare davanti a un altro presidente”. Sono i versi della poesia The hill we climbed (La collina su cui saliamo) di Amanda Gorman, la giovanissima afroamericana (classe 1998) che all’Inauguration Day del 20 gennaio 2021 ha rubato la scena al Presidente Usa Joe Biden. E che è stata scelta anche per recitare versi inediti prima del SuperBowl 2021 a Tampa. In realtà, la poetessa aveva fatto molto parlare di sé già nel 2017, quando era stata la prima persona a beneficiare dello status di “Giovane Poeta Laureato d’America”: qualifica inconsueta, creata apposta per lei.

Le apparizioni di Gorman hanno riportato all’attenzione generale il tema della parità di genere e delle differenze culturali, molto sentito negli Stati Uniti. Ma Oltreoceano sono diverse le storie, meno note e più silenziose, di pioniere di certe battaglie.

Un caso interessante è quello della manager Shirley Young, morta il 26 dicembre 2020 a New York, a 86 anni. Era un concentrato di stereotipi. Donna, di origine asiatica, mamma, dopo il diploma il massimo della carriera a cui poteva ambire “era fare la dattilografa”, come raccontava di se stessa anni fa e come riporta il New York Times. Eppure, 30 anni dopo questa sentenza sul suo futuro professionale, si ritrovò vice Presidente della General Motors Asia.

Paladina dei diritti delle lavoratrici madri

Young è stata pioniera in molti campi: in carriera fin dagli Anni 60, a quel tempo non erano molte le cino-americane a ricoprire ruoli apicali nelle aziende statunitensi. A dire il vero, non erano molte nemmeno le brillanti laureate in economia e marketing: fino alla fine degli Anni 60 le lauree al femminile oltreoceano non andavano oltre il 27% del totale, come risulta dai dati del Census Bureau. Aspirante pianista, non avendo spiccato nel campo musicale aveva comunque deciso di investire nel talento altrui e utilizzava queste sue competenze anche sul lavoro: una precorritrice della valorizzazione delle soft skill.

Ambasciatrice culturale del suo Paese d’origine, non rinunciò alla maternità, proprio mentre era sulla rampa di lancio della sua carriera. Rimasta incinta del primo figlio, ottenne che Gray Advertising, la ditta di pubblicità per cui lavorava, introducesse la sua prima polizza per la maternità. All’epoca, infatti, piuttosto di tenersi una donna con figli, non era insolito che qualche organizzazione ricorresse all’erogazione di discrete buonuscite per togliersi di mezzo la dipendente. Oggi non è cambiato molto, in questo senso, nemmeno al di qua dell’Oceano: una delle misure di welfare cui le neo-mamme lavoratrici ricorrono più spesso è la possibilità di accedere al sussidio di disoccupazione, se si licenziano entro l’anno di vita del figlio. L’Istat rileva che circa il 30% delle neo-mamme lavoratrici dipendenti italiane coglie questa occasione: nel 2019 ben 38mila donne si sono dimesse a causa delle difficoltà di conciliare il lavoro con la vita privata, con la speranza di rientrare sul mercato una volta cresciuti i figli. Sappiamo bene, però, quanto questo sia difficile…

La Gray Advertising sicuramente fece un affare, trattenendo Shirley Young. La maternità l’aveva resa ancora organizzata ed efficiente: fu dopo l’arrivo dei figli che maturò le idee migliori. Infatti, in campo pubblicitario disdegnò le teorie più strettamente ‘emozionali’, per puntare tutto sulle ricerche quantitative di mercato (campo allora decisamente trascurato: i Big data erano lungi a venire). Per lei il marketing era una questione di numeri, di dati, non di sentimenti. Oggi è banale, ma all’epoca dalle donne del settore ci si aspettava un contributo decisamente meno razionale e più ‘di pancia’.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Febbraio 2021 di Persone&Conoscenze.
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Chiara Pazzaglia

Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.

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