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Sciopero Amazon, se il manager si fa sostituire da un algoritmo

Il caso Amazon è di attualità per via dello sciopero – dei driver, addetti agli hub e ai magazzini – del 22 marzo 2021. Non è che il caso esemplare di una situazione sempre più diffusa. La situazione sembra la stessa della catena di montaggio. Ma c’è una grande differenza: l’Intelligenza Artificiale (AI) è feroce e disumana nell’alzare i ritmi e soprattutto il sistema è governato da lontano. Chi scrive gli algoritmi non si assume nessuna responsabilità. Non c’è un manager, un interlocutore visibile.

Purtroppo c’è ancora chi indulge a gettare acqua sul fuoco. Si sente dire che non c’è niente di nuovo. E che tutte le innovazioni all’inizio generano problemi, disuguaglianze e ingiustizie, ma che poi le cose si aggiustano. Oppure che anche le precedenti rivoluzioni industriali hanno fatto scomparire posti di lavoro e hanno prodotto condizioni di lavoro pesanti, ma che poi l’azione sindacale e la politica hanno messo le cose a posto. Si sente dire che i giganti del web – come Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft e altre simili imprese – sono tigri di carta, e che basta qualche legge degli Stati sovrani o qualche indirizzo legislativo dell’Unione europea per riportare la situazione sotto controllo.

Chi pensa e dice così – e sono in tanti – è in cattiva fede. È impossibile non vedere i rischi per gli spazi di libertà dei cittadini. È impossibile non vedere che algoritmi e AI riducono gli spazi per il lavoro umano. È in cattiva fede anche chi dice che è giusto che certi posti di lavoro scompaiano, perché si tratta di mansioni poco dignitosi per gli esseri umani. Dire che è giusto che un certo tipo di lavoro scompaia è un comodo modo per evitare di preoccuparsi di una giusta remunerazione di intere categorie di lavoratori.

È in cattiva fede il manager, il consulente, il formatore che non si preoccupa di tutto questo e che continua a nascondersi dietro i soliti luoghi comuni fatti di frasi come: “non si può andare contro il progresso”; “è sempre stato così”; “cosa posso farci io?”; “la responsabilità non è mia, ma di qualcun altro”…

I manager che affermano tutto questo, che si consolano e giustificano così, stanno tentando –vanamente, oltretutto – di difendere il proprio ruolo. Accettano, in fondo, di vedere dettata a loro stessi l’agenda da shareholder lontani e da algoritmi al loro servizio. Nell’interpretare il nostro ruolo di manager, ci contentiamo di questo?


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Il GuastafESTE

Articolo a cura di

Il GuastafESTE è uno pseudonimo dietro cui si cela un riconosciuto esperto di cultura aziendale

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