settimana corta

Settimana corta, chi se la può permettere?

Recentemente Leonardo, gruppo che opera nel settore Aerospazio, Difesa e Sicurezza, ha firmato un nuovo contratto integrativo per il biennio 2024-2026 che prevede un articolato piano di welfare per i lavoratori (52mila addetti), tra cui la riduzione dell’orario lavorativo fino a 16 ore al mese. Anche l’Istituto per i Servizi assicurativi del commercio estero (Sace), gruppo assicurativo partecipato dal Ministero dell’Economia e Finanza, ha annunciato il cambiamento organizzativo limitando, su adesione volontaria, l’orario da 37 a 36 ore settimanali per i suoi 2mila collaboratori.

I due casi mostrano come in Italia la settimana corta si sta diffondendo, ma, per il momento, avviene soprattutto a livello delle grandi aziende, fatto salvo per qualche rara innovazione promossa da imprese di dimensioni più contenute, come Rigoni di Asiago, gruppo italiano di produzione di miele e confetture di circa 230 dipendenti, e Disclosers, giovane agenzia di PR e Media relations con sede a Milano che conta poco meno di 30 dipendenti.

Prima di Leonardo e Sace, infatti, aveva fatto notizia il caso di Intesa San Paolo (74mila dipendenti) che a inizio 2023 ha introdotto la settimana lavorativa di quattro giorni da nove ore; poi era toccato a Luxottica (20mila dipendenti) e più recentemente a Lamborghini (2mila dipendenti). La settimana corta, dunque, sembra essere una sperimentazione più da grande azienda che non da Piccole e media impresa (PMI): peccato, però, che in Italia di organizzazioni da migliaia di persone se ne contino poche e il rischio è che l’innovazione organizzativa possa avere una diffusione molto limitata. Secondo i più recenti dati dell’Istat, la dimensione media in Italia delle aziende è di quattro addetti; le microimprese – cioè quelle con meno di 10 persone – impiegano il 43,2% degli addetti totali, contro il 33,5% delle PMI (con un numero di addetti tra 10 e 249) e il 23,3% delle grandi imprese (più di 250 addetti).

La diaspora dei lavoratori verso le grandi aziende

La limitata diffusione della settimana corta non è però legata solo ai numeri della popolazione aziendale. Introdurre una riduzione di orario rischia di far perdere di produttività le imprese che da decenni devono fare i conti con la questione: secondo l’Istat il tasso medio annuo di crescita della produttività del lavoro in Italia nel periodo 1995-2022  è stata solo dello 0,4%. Come introdurre la settimana corta se non si è ancora trovata una soluzione per aumentare la produttività con l’attuale orario di lavoro? Certo, ci sono studi che indicano che la soluzione sia proprio lavorare meno e meglio: secondo 4Days week global, organizzazione no profit che promuove studi sui benefici di un orario di 32 ore settimanali, nelle aziende coinvolte nella ricerca il fatturato è aumentato del 1,4% grazie a un miglioramento del benessere dei lavoratori.

Inoltre, la settimana corta non prevede la riduzione di stipendio e questo rischia di incidere, oltre che sulla produttività, sul conto economico dell’azienda. È pur vero che, secondo la ricerca del 2023 di Assirim, gruppo di aziende attive nella ricerca di mercato, il 55% degli italiani è disposto a guadagnare meno pur di ottenere un giorno libero; ma questo non agevolerebbe le PMI perché – con organici limitati – dovrebbero assumere più persone per raggiungere gli obiettivi di produttività. Ci sono poi settori nei quali la riduzione di lavoro non si concilia con la tipologia di business (si pensi all’Agroalimentare che non conosce sosta).

Insomma, di settimana corta se ne parla molto, ma – almeno per ora – sembra essere più un affare per grandi aziende, perché la maggior parte di PMI non pare in grado di poterla introdurre. Questo scenario rischia di creare lavoratori di ‘serie A’ e di ‘serie B’, con una potenziale diaspora verso le grandi organizzazioni, che aumenterebbero il loro appeal. Il rischio esiste; a meno che le PMI non si adattino al nuovo contesto.

settimana corta, PMI, Leonardo, Sace


Alessia Stucchi

Alessia Stucchi

Alessia Stucchi è giornalista pubblicista. Laureata in Lettere Moderne in triennale e in Sviluppo Economico e Relazioni Internazionali in magistrale. Nel 2023 ha vinto il Premio America Giovani della Fondazione Italia Usa che le ha permesso di conseguire il master Leadership per le relazioni internazionali e il made in Italy. Nel tempo libero si dedica alle camminate, alla lettura e alle serie tivù in costume.

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